I dati delineano un quadro allarmante confermando una tendenza ormai in atto da anni: il drastico calo delle nascite sia in Italia sia a livello globale. In alcuni Paesi, la situazione ha assunto i contorni di una vera e propria emergenza nazionale. In particolare, sono due i fenomeni più preoccupanti: la riduzione del numero medio di figli per donna e l’aumento dei nuclei familiari composti da una sola persona, soprattutto tra le nuove generazioni.
Tra i Paesi più colpiti dalla «depressione demografica» figurano quelli dell’Est asiatico, dove il calo delle nascite è in atto da oltre 15 anni. La Corea del Sud detiene il tasso di natalità più basso al mondo, con una media di appena 0,75 figli per donna.
La situazione italiana non è molto più rassicurante: nel 2023 il tasso di natalità si è attestato sull’1,1 figli per donna. Un crollo significativo se si considera il boom demografico degli anni Sessanta, legato allora alla forte espansione economica.
Ricambio generazionale a rischio
Uno studio pubblicato su The Lancet prevede che entro il 2100 oltre il 97% dei Paesi e territori del mondo avrà tassi di fertilità troppo bassi per garantire il ricambio generazionale. Tuttavia, in alcune aree a basso reddito ― in particolare nell’Africa subsahariana occidentale e orientale ― i tassi resteranno elevati, continuando a trainare la crescita della popolazione in quelle zone per tutto il secolo.
È inevitabile, dunque, un assottigliamento progressivo della popolazione globale, un fenomeno noto come fertility gap. Le differenze tra le varie aree del mondo si faranno sempre più marcate. Già nel 2021 quasi un terzo delle nascite mondiali è avvenuto in Africa subsahariana e, secondo le stime, entro il 2100 oltre la metà dei bambini nati nel mondo potrebbe provenire proprio da questa regione.
Molteplici i fattori in gioco
I fattori che si celano dietro questa dinamica sono molteplici e complessi. Sebbene intrecciati, essi agiscono anche in modo indipendente, creando una condizione che paradossalmente vede le società economicamente più avanzate fare meno figli rispetto ai Paesi in via di sviluppo.
Accanto al calo delle nascite si registra anche un innalzamento dell’età media delle donne al primo parto. Nell’Unione Europea, ad esempio, l’età media al momento della nascita del primo figlio è passata dai 29 anni nel 2010 a 31 anni nel 2020.
Ancor più concreto il dato che coinvolge i Millenials e la Gen Z, ove il matrimonio, o la vita di coppia più in generale, non rappresenta più un rito di passaggio, una tappa da raggiungere per concretizzare un percorso di vita, bensì semplicemente un’esperienza di coronamento della relazione.
Oggi a farla da padrona è una vita più libera, autonoma, indipendente, spensierata, che rappresenta un’aspettativa attraente, e più facilmente gestibile.
Il peso dell’eterna gioventù
Se è vero che le cause del calo delle nascite risiedono in questi fattori, ciò che occorre spiegare in maniera più approfondita è il percorso che ha condotto a questo decisivo e sostanziale cambio di rotta.
Il modello familiare si è trasformato radicalmente. Le ragioni? Da un lato l’insicurezza e l’instabilità che molti giovani sperimentano nel mondo del lavoro; dall’altro, famiglie sempre più protettive che tendono a prolungare l’adolescenza dei figli, rendendoli riluttanti ad assumersi responsabilità.
Ne emerge un circolo vizioso alimentato da insicurezze, scarsa consapevolezza e paura del futuro, che scoraggia la formazione di famiglie stabili e numerose.
Per quanto riguarda la prima causa, le dinamiche sono strettamente connesse al mondo del lavoro contemporaneo, che impone la necessità di essere economicamente indipendenti. Nonostante viviamo in società consumistiche e apparentemente benestanti, il contesto economico è profondamente mutato rispetto a vent’anni fa e determina, di fatto, la necessità di due forze lavoro all’interno di un nucleo familiare per poter percepire quella tanto desiderata stabilità economica, utile ad ampliare di fatto la famiglia.
Ci sono poi fattori di carattere sociale, legati al percorso di emancipazione femminile, che ha reso sempre più marginale e residuale il modello della donna economicamente dipendente dal partner.
Un meccanismo di «iper-protezione»
La seconda causa è invece riconducibile alla sfera educativa. Le famiglie di oggi sembrano intrappolate in un meccanismo di iper-protezione e assoggettamento ai figli, dove il «dare tutto», spesso in modo eccessivo e prolungato, viene interpretato come forma ideale di amore e sostegno, mentre invece si traduce in una scarsa preparazione dei figli all’autonomia, ed in una incessante ricerca di spensieratezza e deresponsabilizzazione.
In maniera più marginale, ma comunque significativa, anche il mondo dei social media ha contribuito a prolungare la fase della giovinezza e a rendere meno attrattiva l’idea di un’unione stabile.
Le piattaforme digitali, infatti, valorizzano l’individualità, l’autonomia e l’autoaffermazione, presentando spesso l’indipendenza come uno status desiderabile. Inoltre, i social funzionano come vere e proprie vetrine relazionali, offrendo un’ampia gamma di possibilità d’incontro e conoscenza, che alimentano l’idea di avere sempre a disposizione nuove opportunità, scoraggiando l’impegno a lungo termine.
Come incidere sul futuro demografico
Di fronte a questo scenario, è fondamentale interrogarsi su quali politiche sociali e culturali possano davvero incidere sul futuro demografico. Non basteranno misure economiche o incentivi alla natalità se non verrà affrontata, parallelamente, una riflessione profonda sul senso della genitorialità, sulle relazioni affettive e sull’organizzazione del tempo di vita.
Solo ripensando il modo in cui viviamo e costruiamo legami sarà possibile invertire, almeno in parte, una tendenza che oggi appare inesorabile.
Occorre creare le condizioni per un’inversione di rotta dal punto di vista culturale, destrutturando il modello di vita iper-individualista ormai diffuso soprattutto nelle nuove generazioni, privilegiando e incentivando l’adozione di un modello di vita che punti al superamento dell’egoismo individuale e si apra a valori e modelli di vita comunitari a qualsiasi livello, partendo dalla famiglia alle sfere sociali collettive.
Una battaglia su cui si gioca molto del nostro futuro.
Alessia Giannatempo *psicologa