MEDIO ORIENTE

La strage contro Hezbollah
Eh, che ci vuoi fare?

L’indiscriminato e massiccio attacco informatico-esplosivo contro militanti di Hezbollah in Libano e in Siria è un vero e proprio atto di terrorismo che apre inquietanti interrogativi per il futuro.

 

«Vabbé, è successo. Speriamo solo che non ci sia un’escalation». Le reazioni generali, di fronte agli attacchi esplosivi contro i militanti di Hezbollah in Libano, sono state queste. Neutre fino all’indifferenza. O fintamente distaccate per nascondere una sostanziale approvazione.

Il Corriere della Sera, ad esempio: «In Libano e Siria. Scoppiano migliaia di cercapersone: strage di miliziani. Almeno 18 morti, quasi 4mila feriti. Le accuse a Israele».

Oppure Repubblica: «Decimati i quadri di Hezbollah». O il Foglio: «All’improvviso esplodono 3.000 cercapersone di Hezbollah».

Nei media nessuna partecipazione emotiva 

Uno dei dispositivi cercapersone esploso nell'attacco informatico-esplosivo contro militanti Hezbollah in Libano e in SiriaAppunto. Da un lato il resoconto obiettivo degli effetti, senza neanche l’ombra della partecipazione emotiva che viene sciorinata di fronte agli attentati di massa, quando a essere colpite sono le popolazioni occidentali. O quelle di altri Paesi amici o, quantomeno, non ostili.

Dall’altro la presa d’atto, peraltro a mezza bocca o addirittura con malcelata ammirazione, che dietro le stragi c’è Israele. Cosa che Enrico Mentana ha dato per scontata fin dal primo momento: l’azione è stata «compiuta sicuramente, anche se non c’è firma, dal Mossad israeliano».

Il resto rimane sullo sfondo. Sorvolando sugli aspetti davvero cruciali di questa terribile vicenda.

Primo: la gravità dell’operazione in sé stessa, che ha trasformato delle merci in libera vendita in altrettanti ordigni da far scoppiare in seguito e per mezzo di segnali elettronici a distanza.

Secondo: le implicazioni, ancora più gravi, sul piano del diritto internazionale.

Come James Bond. O come i terroristi

Che i servizi segreti agiscano al di fuori della legge è nella logica delle cose. La loro, per dirla alla 007, è la «licenza di uccidere». Con ogni mezzo e dappertutto.

Eppure, benché in maniera implicita e con le amplissime zone d’ombra di ciò che non viene stabilito per via normativa, questa deroga è limitata. Un conto è eliminare determinati individui, in una situazione di conflitto aperto e nella quale entrambe le parti fanno ricorso alla violenza. Un altro è sparare nel mucchio.

Se ammazzi degli avversari specifici è ritenuto accettabile. O meglio: lo è quando ad agire sono la Cia, il Mossad e gli altri organismi occidentali. Nel caso delle potenze avversarie, a cominciare dal vecchio Kgb sovietico e dalle strutture che ne hanno preso il posto dopo la dissoluzione dell’Urss, non lo è affatto.

Se invece coinvolgi dei civili, causando vittime indiscriminate che non possono nemmeno essere derubricate a «effetti collaterali», il discorso cambia. Non sono più omicidi mirati. È terrorismo.

Ma c’è persino di peggio, stavolta. Ci sono delle domande inquietanti, che andrebbero affrontate dall’Onu in seduta plenaria, e c’è un rischio di enorme portata. Che autorizza a parlare, con un termine troppo spesso abusato, di evento epocale.

Eccezione o nuovo standard?

Partiamo dalle domande. Per Israele, la tecnica utilizzata per colpire Hezbollah è una scelta isolata o, al contrario, si tratta di una strategia ormai acquisita e da applicare in chissà quante altre occasioni?

Più precisamente: ci sono altri dispositivi analoghi che sono stati approntati e magari già in uso, da parte di privati cittadini o di rappresentanti delle pubbliche istituzioni? E in quali nazioni? Solo quelle islamiche aggressive, dall’Iran in giù, o anche altrove, perché gli amici di oggi possono diventare i nemici di domani e, sai com’è, è meglio tenersi pronti ad abbatterli?

Veniamo al rischio. Che, come abbiamo già scritto ma come ci teniamo a ribadire, è di enorme portata.

Se a Israele viene riconosciuto che il proprio diritto di difendersi può ampliarsi all’infinito, disseminando all’estero delle armi potenziali e travestite da oggetti quotidiani, perché mai degli altri governi non dovrebbero concludere che diventa lecito fare lo stesso?

Si alterano dei dispositivi apparentemente innocui (tipo le caldaie da riscaldamento domestico, come ha ipotizzato Aldo Giannuli su YouTube) e vendendoli si ottiene l’equivalente di un campo minato. O di una serie, una lunga serie, di campi minati. Che alla bisogna…

Questa prospettiva sarebbe comunque terrificante perché i controlli su un numero elevatissimo di merci sono di per sé impossibili, ma la globalizzazione moltiplica il pericolo in modo esponenziale.

Toccherebbe all’Onu, affrontare la questione. Con la massima forza e la massima urgenza.

Toccherebbe all’Onu, se fosse minimamente all’altezza dei suoi proclami e della sua mission.

Gerardo Valentini

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