JULIAN ASSANGE

Torna libero l’uomo simbolo
della libertà di espressione

Julian Assange, finalmente libero, circondato dai fotografi. Aveva rivelato al mondo le violazioni dei diritti umani perpetrata dal Governo Usa sia verso la popolazione domestica sia in teatri di guerra.

 

Julian Assange, il celebre prigioniero, simbolo della libertà di informazione, è stato liberato dalla prigione londinese di Belmarsh ed è volato nelle Isole Marianne settentrionali, remoto possedimento statunitense, per poi firmare il documento di ammissione di responsabilità e uscire di lì da uomo libero per tornare nella natia Australia.

Mercoledì mattina, davanti al tribunale della città di Saipan, ha accettato di concordare una pena uguale al tempo di reclusione.

Il documento concordato con gli Usa

Julian Assange assapora i primi momenti da uomo libero.Assange ha accettato i termini concordati tra il suo team legale e il Ministero della Giustizia Usa, confessando il crimine da lui commesso con il suo informatore interno al Dipartimento Usa: Chelsea Manning.

La sua detenzione era già in bilico al momento della richiesta estradizione negli Stati Uniti, su cui l’Alta Corte britannica si era riservata di pronunciarsi per valutare le garanzie per l’imputato, prigioniero politico.

L’epilogo permette di far decadere la decisione sul punto e le accuse al Governo di Washington.

Il diritto del mondo all’informazione

Anche se l’accusa verso Julian Assange è stata anche quella di aver messo in pericolo funzionari sotto copertura, nonché informatori in Afghanistan e Iraq, attraverso la declassificazione di documenti riservati, il clamore suscitato dalle rivelazioni da lui compiute riguarda specialmente la prova della violazione continua e massiccia, perpetrata dal Governo Usa, dei diritti umani, sia verso la popolazione domestica, sia in teatri di guerra.

Il cittadino australiano, con la pubblicazione delle informazioni in suo possesso, ha mostrato come la democrazia, la libertà e la trasparenza siano conquiste quotidiane del popolo e non possano essere garantite da alcun Governo vincolato, al contrario, alla ragion di Stato.

La primazia autocelebrativa americana sulla democrazia, insomma, si tramuta in un grande paravento per le consuete logiche di potere, con il rischio, non solo, di non riuscire ad avvertirne il pericolo; ma, addirittura, di alimentarne in qualche modo l’agenda, finendo per pensare, erroneamente, che all’espansione dell’imperialismo corrisponda un’avanzata dei diritti umani.

L’intimidazione Usa della Corte Penale internazionale attraverso lo strumento delle sanzioni, non permette equivoci a riguardo, evidenziando la corrispondenza tra diritto internazionale e il proprio interesse.

Anche se non c’è chi non possa rincuorarsi della libertà del giornalista investigativo, la segretezza dei termini dell’accordo potrebbe far ipotizzare un cedimento riguardo il diritto all’informazione.

La problematica del segreto di Stato

Quando, infatti, viene svelato un segreto di Stato nell’interesse generale (ossia non per mero tornaconto), ciò non costituirebbe reato. Il precedente Usa è quello esaminato dalla Corte Suprema Federale nel 1971, sui Pentagon Papers, ossia le strategie americane, fallimentari, nei confronti del Vietnam, documenti pubblicati prima dal New York Times, e poi dal Washington Post.

Veniva stabilito quindi che soltanto una stampa libera e senza limitazioni può svelare efficacemente l’inganno del governo, evitando che il popolo venga inviato in terre lontane a morire di febbri e sotto le bombe e il fuoco nemico.

Come scrive Patrick Boylan, docente di teoria e pratica della traduzione a Roma Tre, autore del libro Free Assange, i termini dell’accordo non dovrebbero prevedere l’inattività  di Julian Assange relativamente a nuove inchieste, una volta libero, ma, probabilmente, più eloquente sarà il suo comportamento successivo al trasferimento in Australia.

Sempre Patrick Boylan aveva decrittato una lettera inviata un anno fa da Julian Assange al neo incoronato re Carlo III, dove si invitava quest’ultimo a visitare la prigione dove era detenuto, con citazioni tratte dalla Bibbia e dal Mercante di Venezia, nella quale si ricordava che è la clemenza, più del rigore della Giustizia, a fare grandi i monarchi.

In questa lettera, che è allo stesso tempo una denuncia delle condizioni di ristrettezza dei prigionieri politici (come il divieto di giocare a scacchi, ma il permesso di giocare a dama, spunti che rievocano i dibattiti sull’estensione del nostro 41 bis), ci sarebbe stata una formalizzazione pubblica del riconoscimento dell’autorità inglese (da parte di Assange), preliminare a intavolare trattative per la sua liberazione.

Il valore politico della liberazione di Assange

Nessuno può negare l’alto valore politico della liberazione di Assange, proprio alla vigilia delle elezioni Usa, in un momento in cui la credibilità americana, e il suo traino, è forse al suo minimo storico, o, almeno, ad un punto critico.

La vittoria dell’amministrazione  Biden, peraltro, potrebbe definirsi diplomatica, avendo avuto il caso Assange rilevanza internazionale con interpelli e ammonizioni in sede Onu.

Assange, infatti, è rimasto confinato ben sette anni nell’ambasciata inglese dell’Equador prima di essere tradotto nelle carceri britanniche una volta persa la protezione politica di quel paese.

La sua liberazione, poi, è altamente significativa in un momento di rapida escalation dei conflitti dell’occidente in vari teatri di guerra, con tutto il portato di retorica di «superiorità morale».

Se un merito, infatti, ha avuto Julian Assange è stato quello di aiutare l’occidente a vedersi dentro (e per questo significativamente ha pagato) aiutandolo a essere più coerente con i suoi ideali ispiratori, e invertendo qualche volta i ruoli dei barbari e dei civilizzati, aiutandoci a vedere i limiti delle «guerre di civiltà» e a essere più credibili all’estero.

Oggi, significativamente, all’alba dell’ennesimo, forse definitivo, scontro esistenziale, le lezioni di Assange possono aiutare a superare sia la visione manichea instillataci oramai ripetutamente, sia la logica dell’occhio per occhio per cui diventeremo tutti ciechi.

Armando Mantuano

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