FRANCIA

Presidenziali 2027 a rischio
per Marine Le Pen

In testa nel gradimento dei francesi per le presidenziali 2027, la leader del Rassemblement National Marine Le Pen rischia l’esclusione giudiziaria dalla corsa all’Eliseo. Il paragone con i due casi in Romania.

 

Marine Le Pen, la leader primo partito di Francia, il Rassemblement National (Rn), è stata condannata a 4 anni di carcere per appropriazione indebita di fondi Ue, al quale i giudici francesi hanno aggiunto l’ineleggibilità.

Una Marine Le Pen visibilmente contrariata dopo la sentenza di condannaLa sentenza e quest’ultimo punto in particolare sta facendo scalpore perché toglierebbe a Marine Le Pen la possibilità di correre alle prossime elezioni presidenziali dove è accreditata dai sondaggi in forte vantaggio.

Le reazioni alla sentenza in Francia e più in generale in Europa si dividono tra chi plaude, sottolineando che «nessuno è al di sopra della legge», e chi critica un potere giudiziario considerato «al di sopra della volontà popolare».

Una vicenda europea

Appurato che una questione di tale rilevanza non si può ridurre a mere vicende domestiche è utile fare qualche riflessione sul più generale contesto europeo.

L’Unione Europea si confronta e si dovrà confrontare con sempre maggiori sfide riguardo la sostenibilità dei valori democratici. Sotto l’ombrello Usa seguiva un po’ le iniziative della prima della classe, anche quando queste entravamo in contraddizione con i suoi principi. Ora ha l’occasione di testimoniarli, realmente e in prima persona. Un’occasione da non sprecare.

Affermare che la democrazia in Europa è ad un punto di non ritorno è ovviamente uno slogan per chi in questa Europa proprio non ci vuole stare, tuttavia non cogliere i segnali di contraddizione con uno sviluppo delle istituzioni che dovrebbero fondare un’ Unione Europea ancora più stretta, è ancora più miope. Evitare di valutare gli addendi del progetto europeo rischia infatti di non coglierne gli esiti.

Il tema dell’ineleggibilità

Il Primo Ministro francese Francois Bayrou anch'esso coinvolto in una caso giudiziario analogo a quello che a portato alla condanna di Marine Le PenLa sanzione dell’ineleggibilità comminata a Marine Le Pen non è un fatto isolato e permette utili paragoni.

L’accusa di gestione irregolare con «contratti fittizi» degli assistenti parlamentari si è presentata più volte in vari parlamenti nazionali e regionali europei, Italia compresa.

Nel 2024 la stessa condanna era piovuta su un alleato di Macron, il partito MoDem, senza però che ci fosse la sanzione dell’ineleggibilità. La cifra contestata era quasi la metà di quella contestata al Marine Le Pen ed altri otto parlamentari del suo gruppo. Inoltre non era emerso un indiscusso coinvolgimento del vertice, ossia dell’attuale Primo Ministro Francois Bayrou.

Nessuna condanna a pene detentive da scontare. Può sembrare bizzarro tuttavia che sia condannato il partito e non il suo leader. Non a caso oggi proprio Francois Bayrou si è detto colpito dal verdetto sul Rassemblement National.

La questione non e assimilabile anche per altre circostanze: ad essere condannati per il Rn sono stati anche la sorella della Le Pen, l’ex compagno e la guardia del corpo di lei e del padre, ed è proprio la gestione familistica il tratto caratteristico capace di coinvolgere anche la candidata alle Presidenziali del 2027.

Rimane comunque la possibilità di dimostrare la propria estraneità, per Marine Le Pen, con l’Appello, d’altronde i fatti sono risalenti (dal 2004 al 2014) e la leader di Rn non aveva padronanza della rete politica ereditata dal padre (parenti inclusi).

Il provvedimento più controverso è comunque la sanzione immediatamente applicabile dell’ineleggibilità.

Questa sanzione era stata fortemente promossa anche dalla Le Pen, che voleva una sua estensione a vita in presenza di un arricchimento personale del politico condannato.

Nonostante questo le sia da più parti rinfacciato, la mancata sospensione di detta misura, nonostante l’Appello, è un’opzione che ha avuto un quasi unanime disaccordo.

I dubbi sulla sentenza

La Presidente del Collegio giudicante ha giustificato questa misura col non voler dare privilegi all’imputata, e trattarla da persona comune, e sembrerebbe questo il criterio, apolitico, che ha guidato il giudizio.

Un commento interessante del Primo Ministro Bayrou, però, sta trapelando, ed è quello di prevedere, in caso di gravi misure penalistiche, la possibilità di un ricorso immediato.

Anche Macron ha parlato, genericamente, della possibilità per i condannati di fare ricorso, e alcuni esponenti di destra come Eric Ciotti, stanno studiando la possibilità di riformare l’istituto.

Tuttavia, oltre ad incassare le reprimende del Primo Ministro francese, anche l’estrema sinistra di Melanchon ha tuonato contro l’esclusione giudiziaria dei rivali politici, che devono invece essere battuti alle urne.

Certo, però, questi stessi attori sono in attesa di un giudizio per le stesse problematiche: il primo in secondo grado, il secondo con un procedimento appena avviato.

Dando anche per scontata la buona fede del magistrato, non si può comunque non rilevare che la sospensione del politico in testa a tutti i sondaggi, nonostante manchi un giudizio definitivo, sia una misura a dir poco inopportuna.

Questo sarà stato anche il pensiero della Corte d’Appello che ha immediatamente ipotizzato una corsia preferenziale per gestire il caso prima dell’inizio della campagna elettorale.

Ciò dimostra come non si possa e non si voglia considerare il caso Le Pen come un caso qualsiasi.

I candidati esclusi in Romania

Călin Georgescu, il candidato escluso dalle presidenziali in RomaniaSe nell’estremo ovest dell’Unione Europea, nonostante l’asprezza del trattamento della magistratura francese, possiamo ipotizzare solo indirettamente, e magari inconsciamente, un condizionamento ideologico, nell’estremo oriente, in Romania, l’esclusione dei candidati, è stata espressamente dettata da condizionamenti ideologici.

Vale la pena approfondire perché non si sono viste manifestazioni di sdegno delle istituzioni europee.

Peraltro, con quello che sta succedendo in Turchia ― dove è stato improvvisamente arrestato Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul principale competitor accreditato del presidente Erdoğan ―sarebbero state opportune, quantomeno per marcare le distanze, invece, al netto della continuità di una persona (e non di uno schieramento) nella carica, rimangono forti analogie.

Non ci si riferisce nemmeno a Călin Georgescu, escluso anche dalla candidatura per le nuove elezioni, dopo aver sospeso le precedenti che lui aveva vinto al primo turno sorprendendo tutti, ma ad un’altra candidata, Diana Iovanovici Șosoaca, la leader di un altro partito di destra «Sos Romania».

Ma andiamo con ordine. Le elezioni precedenti erano state interrotte e la Sosoaca era già stata esclusa dal parteciparvi, tanto che il rigetto della sua candidatura era stato citato come precedente per l’esclusione di Călin Georgescu.

Diana Iovanovici Șosoaca, ex parlamentare europea, anch'essa esclusa dalla corsa per la presidenza della RomaniaSu quest’ultimo, dopo il primo turno, erano trapelate informative dei servizi segreti comunicate dal Governo in carica.

La promozione social fatta su Tik Tok da un utente denominato «Bogpr» che, tra il 24 ottobre e il 24 novembre 2024, ha effettuato pagamenti per un valore di 381mila dollari ad influencer coinvolti nella promozione del candidato Călin Georgescu, anche dopo la fine della campagna elettorale, è stata considerata essere stata fatta in violazione della legge elettorale rumena sulla trasparenza della propaganda politica.

Dietro questo pseudonimo si celava un certo Bogdan Peşchir, detto l’Elon Musk rumeno, speculatore di criptovalute.

Ora, non è escluso che il soggetto abbia cercato di promuovere un candidato sconosciuto (magari a lui affine), per puntare qualche somma e arricchirsi, il tutto senza che il candidato in questione ne fosse particolarmente cosciente.

Oppure poteva agire in nome di altri partiti che appoggiavano indirettamente il candidato, senza far parte del suo staff.

Tuttavia, tanto è bastato per considerare falsata la competizione, con un’argomentazione peraltro interessante e pericolosa che esprime la difesa della democrazia attaccata dalla disinformazione (in realtà, una, presunta e limitata a un social, sovra esposizione di un candidato).

Nonostante la mancanza di una condanna penale (unica condizione rilevante per escludere un candidato), la stessa motivazione è stata utilizzata per impedire a Georgescu di registrarsi ai seggi per le nuove elezioni.

Per la candidatura di Diana Iovanovici Șosoaca, la Corte Costituzionale ha invece addirittura innovato le condizioni per l’elezione, stigmatizzando i comportamenti presunti antisemiti, legionari (il riferimento è ad un movimento, la Guardia di Ferro, nato tra le due guerre mondiali) e anti euroatlantici.

Il vaglio della Corte Costituzionale rumena si è quindi spinto fuori da un ambito di astrattezza e oggettività per approdare ad un giudizio su comportamenti e discorsi politici e elettorali.

La giustificazione della Corte è stata il vaglio preventivo dei requisiti per il giuramento di fedeltà alla Costituzione, di sua competenza, in contraddizione dei quali si opponevano le posizioni no-Ue (espresse in maniera più folklorica che sostanziale) di quella che è anche eurodeputata.

L’argomentazione stupisce ancor di più considerando che la carica presidenziale attiene più al prestigio che alla possibilità di legiferare, ragione per cui è stato rigettato il ricorso Cedu presentato da Călin Georgescu.

La Corte Costituzionale rumena si è quindi arrogata un vaglio di indegnità per la presentazione della candidatura, qualcosa di inedito.

Con questo non si cerca di difendere la signora Sosoaca, personaggio politico certamente bizzarro i cui toni spesso travalicano anche il buon gusto, peraltro anche protagonista di uno spiacevole incidente con una nostra giornalista (citato anche nella decisione della Corte): la nostra inviata Rai Lucia Goracci è infatti stata trattenuta contro la sua volontà nell’appartamento della deputata, infastidita dalle sue domande, e poi in un commissariato, per poi essere liberata grazie all’intervento dell’Ambasciata italiana.

Si vogliono però evidenziare le distorsioni giudiziarie della politica.

Armando Mantuano

 

 

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