Basta guardare una mappa per capire l’importanza della Siria, vero crocevia di culture, culla di civiltà, e snodo geopolitico fondamentale per il medioriente.
Il governo, o meglio la dinastia laica e socialista degli Assad, era al potere da 50 anni e negli ultimi 14 era riuscita a resistere all’assalto combinato di due superpotenze nucleari come Turchia e Usa, nonché ad un embargo tra i più dolorosi, attraverso il Ceasar act, coinciso con l’inizio della Pandemia.
I cosiddetti ribelli, sullo sfondo, ossia milizie fedeli alle superpotenze e fondamentalisti islamici, venivano a poco a poco ricacciati indietro, grazie all’aiuto di Russia, Iran e Hezbollah.
Proprio su questo frangente si saldavano le alleanze sciite anti Isis, anche in Iraq, guidate dal generale iraniano Soleimani, freddato da un omicidio mirato dagli Usa durante la prima presidenza Trump.
La congiuntura favorevole
Nel mezzo la guerra ucraina che, come ha detto ultimamente Trump, ha indebolito la Russia, nonché la guerra di Gaza e Libano che ha indebolito Iran e Hezbollah.
Il timing dei cosiddetti ribelli siriani è stato quindi preciso. Hanno avanzato dalla Turchia arrivando in pochi giorni in una Damasco lasciata dal suo leader con l’ordine di non opporre resistenza, come Pio IX a Herman Kanzler durante la presa di Roma dei bersaglieri il 20 settembre.
Il primo ministro Al Jazali sta conducendo un pacifico passaggio di consegne, qualcosa di inaudito nell’esperienza dei regime changes moderni.
C’è chi ha paragonato la caduta di Damasco con quella di Kabul, essendo stati, peraltro, i talebani tra i primi a congratularsi con i mujaheddin per la caduta di Bashar Al Assad.
Fine della Siria?
Israele ha iniziato subito a occupare le zone cuscinetto vicino alle alture del Golan, considerando decaduto ogni trattato con il vecchio regime.
Eppure, proprio il passaggio di poteri pacifico comporterebbe la continuità dei trattati.
Forse il rischio della spartizione della Siria, ossia la sua estinzione, può aver portato il regime a scegliere la successione. Non sembra che però i leader ribelli avranno lo spessore politico per rivendicare tale diritto.
Damasco è stata poi di nuovo bombardata dall’Israeli air defence. Il premier israeliano, da un lato tende la mano ai conquistatori, dall’altro espande la sua zona di influenza.
Dall’altro lato si staglia la Turchia, regista occulto di tutta la manovra. Sulla cittadella di Aleppo ha sventolato anche la bandiera turca.
Erdogan si è mosso comunque senza mostrare entusiasmo, inanellando l’ennesimo bottino dopo Armenia e Libia. Allargata la sua zona di influenza, viene scongiurata anche qualsiasi ipotesi di governo curdo. È vero infatti che alcune delle milizie ribelli sono filo Usa, ma il baricentro è sicuramente filo turco e islamista.
Le diverse sigle dei ribelli
Le varie sigle dei ribelli musulmani contano differenti approcci, di cui la parte democratica è minoritaria e sembra senza peso specifico. I bombardamenti americani, dopo la caduta del regime, sembrano confermarlo.
L’organizzazione per la liberazione del Levante, il gruppo più conosciuto, sembra avere il controllo di tutta l’operazione e del futuro potere. Sia l’organizzazione sia il suo leader Al-Jolani vengono considerati terroristi da Usa e Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
D’altronde se c’è un collante che ha sempre unito l’opposizione ad Assad, non è stato certamente l’aspirazione ad una democrazia partitica e liberale, ma l’odio verso l’eretico musulmano, patrocinatore di una repubblica in cui il valore di nazione veniva prima dell’appartenenza confessionale.
Il tramonto del baathismo
L’esperimento baathista, o del partito del Risorgimento arabo socialista, le cui radici culturali prendono anche dal nostro Mazzini, si può ritenere ormai concluso. L’epicentro di questa esperienza di governo è stata proprio la regione iracheno-siriana.
Le scissioni interne e le contrapposizioni tra i due regimi (Iraq e Siria), hanno portato ad alleanze inedite, come l’appoggio di Assad nella guerra Iran-Iraq (1980-1988), alleanza poi rivitalizzata negli ultimi tempi dal figlio Bashar sempre in funzione anti fratellanza musulmana, l’ideologia di riferimento di Hamas per intenderci.
Per questo l’asse costruito a Gaza era qualcosa di ancora più inedito per il mondo arabo che ha sempre oscillato nella contrapposizione tra regimi militari-laici e fondamentalisti (vedasi la parentesi di Mohammed Morsi in Egitto).
Adesso, i cosiddetti ribelli, che probabilmente formeranno un governo islamico, stanno scoperchiando le prigioni segrete, dove sono stati rinchiusi oppositori politici, quinte colonne dei gruppi conquistatori e pare ci siano accessi blindati da codici conosciuti solo dai funzionari del regime, i quali sembrano collaborare.
Sorprendono alcune cose: a parte l’iconoclastia verso le immagini degli Assad, non si sono viste esecuzioni di massa, nè linciaggi popolari, segno di strette direttive sul come condurre le operazioni da ambo le parti. Si sono visti proclami da parte delle milizie di rispettare le minoranze, qualcosa di inedito che testimonia l’evoluzione ideologica dei facinorosi.
Peraltro, è venuto meno anche il motivo più importante della strenua resistenza del governo Assad, nonché dell’intervento russo: la protezione dei cristiani.
Potrà sorprendere, ma, oltre che per l’ideologia secolarizzatrice, Bashar Al Assad, pur se musulmano, essendo appartenente ad una minoranza, quella alawita, tendeva a tutelare tutte le minoranze e aveva un’opposizione naturale per ogni estremismo religioso (ebraico compreso).
Le incognite del futuro
L’ evoluzione dei gruppi fondamentalisti, se confermata nel tempo — e non solo per fare la passerella fino a Damasco —, potrebbe comportare uno sviluppo positivo a 360 gradi nell’Islam portando anche il ramo sunnita verso un certo pluralismo religioso, forse, più cautamente, verso un’apertura.
La stanchezza di una popolazione provata da carestie, calamità, bombardamenti e isolamento, ha portato a questo epilogo che assomiglia più ad una transizione dei poteri.
I rischi sono ovviamente quelli di una guerra civile permanente come in Libia, di una balcanizzazione della Siria con etnonazionalismo, guerre e pulizie etniche, di un nuovo regime fondamentalista, della rinascita dell’Isis.
Resta da comprendere che fine farà il Rojava filo Usa, l’enclave curda che conviveva con Assad e che quest’ultimo si era rifiutato di cedere a Erdogan poco tempo prima dell’operazione.
L’altra incognita è la crescita del neo impero ottomano che, con una Russia indebolita, può arrivare senza problemi ad uno scontro con Israele. Essendo potenza nucleare, i risvolti sarebbero certamente differenti a quelli attuali con il cosiddetto impero del male (Iran-Hezbollah-Hamas).
La Turchia potrebbe costituire infatti un asse inedito nel mondo arabo musulmano. Fa parte dell’Alleanza atlantica e forse, in futuro, dei Brics, con il vantaggio strategico di poter giocare su due tavoli. In più il Presidente Erdogan riesce a far convivere nel suo regime il fondamentalismo e il laicismo militarista, eredità di Ataturk.
Se pensiamo che in Europa, il contraltare a Erdogan sarebbe rappresentato da Macron, capiamo l’irrilevanza che sta sempre più assumendo l’Ue e un Occidente che non potrà sempre far affidamento sullo scudo Usa.
Armando Mantuano