Per i funerali di Papa Francesco Roma è diventata l’ombelico del mondo. Non in maniera simbolica, ma reale. Un mondo in grande ricerca di punti di riferimento stabili, comuni, di fronte agli stravolgimenti attuali.
Franco Battiato cantava, cerco un centro di gravità permanente, richiamando alla memoria quei «gesuiti euclidei, vestiti come dei bonzi, per entrare a corte dell’imperatore, della dinastia dei Ming», facendo involontariamente la didascalia a un pontificato che è riuscito a unire localismo e globalismo, rispetto delle particolarità con i valori universali.
L’attività diplomatica della Santa Sede
Peraltro, la Santa Sede, proprio grazie a Papa Francesco, ha tessuto rapporti significativi con la Cina, in un momento non sospetto di strumentalizzazione politica della diplomazia spirituale, finendo per essere l’unica istituzione «straniera» ad essere riconosciuta come interlocutrice per questioni domestiche.
Lungimiranza e capacità di entrare in dialogo con una cultura millenaria, quello che difficilmente riesce in Occidente, che infatti usa le leve della potenza economica e militare, suscitando reazioni protezionistiche e l’escalation al riarmo.
In questo mega scenario diplomatico che ha come cornice l’Alma Roma, c’è una questione che si accavalla, ed è la limitazione degli spostamenti ai leader verso cui è stato spiccato il mandato d’arresto internazionale. Ovvero Vladimir Putin e Benjamin Netanyau.
Il mandato di arresto per Netanyahu
Per quanto riguarda Netanyau, pesa la mancanza di qualsiasi frase di circostanza riguardo la morte del Pontefice. La sua assenza sembra la coerente prosecuzione della manifestazione, inopportuna, di un «immortale odium» (tale è quello che non si placa nemmeno con la morte del «nemico»), ma forse c’è anche la vergogna di doversi confrontare con l’ostracismo internazionale.
Le ragioni sono note: Francesco non ha lesinato la parola crudeltà per richiamare la sofferenza del popolo gazawi e palestinese, e si è chiesto se l’azione ritorsiva (ormai è chiaro a tutti che la sorte degli ostaggi e dei civili israeliani tout court, è più che secondaria), che ha ripreso vigore dopo le prime liberazioni, non si possa configurare ogni giorno di più come genocidio.
Ma non se lo chiede solo lui: Gideon Levi su Haaretz, commemorando l’olocausto ammette che Israele si sta avvicinando sempre di più a commettere un genocidio, pur ancora non arrivandoci, ad una velocità «spaventosa».
Il mandato di arresto per Putin
Se l’assenza di Netanyahu assomiglia ad una ritirata dalla scena pubblica globale di Israele, rinchiuso nella sua bolla e spalleggiata dalla prima potenza militare, l’assenza di Putin è stata preceduta da un elogio funebre fatto dal capo del Cremlino verso Papa Francesco. Rimane quindi determinante il peso del mandato di cattura internazionale.
Riguardo questo strumento giuridico, c’è da fare una piccola precisazione. I paesi Ue, Ungheria, Germania e Francia in testa, hanno esplicitato la propria opposizione all’applicazione della misura verso il Premier Israeliano, contestando quindi l’operato della Corte Penale Internazionale.
L’Ungheria, recentemente, ha provocatoriamente accolto Netanyahu, e annunciato la fuoriuscita dalla convenzione. La Francia, invece, ha invocato l’immunità diplomatica come condizione ostativa all’arresto di un esponente istituzionale, secondo la personale interpretazione dell’art. 98 dello Statuto di Roma.
Una obiezione, in realtà, già sconfessata proprio da un precedente giudizio della stessa Corte riguardo il mandato di arresto del Presidente del Sudan, Al-Bashir, non eseguito dal Sudafrica in violazione dell’art. 27 dello Statuto di Roma.
L’Italia arresterebbe Putin?
Per l’Italia, invece, le decisioni della Corte non andrebbero rispettate in quanto «politiche». Una posizione delegittimante il ruolo del diritto internazionale, e poco fondata giuridicamente, in quanto gli Stati aderenti, semplicemente, non avrebbero discrezionalità in proposito.
Proprio per questo, riguardo il caso Almasri, a sbagliare è stata soprattutto la Corte d’Appello che era chiamata a, e doveva, ratificare l’arresto già avvenuto.
Ora, riguardo a Putin, è filtrata una notizia interessante, riguardo il suo mandato di arresto che si cercherà di decifrare.
È stato affermato che se il presidente russo venisse in Italia non rischierebbe l’arresto in quanto non sarebbe stato trasmesso alla Corte d’Appello di Roma, via Procura Generale, il mandato spiccato dalla Corte Penale Internazionale il 17 marzo 2023.
Pertanto se Putin venisse arrestato in Italia, quest’azione sarebbe giudicata irrituale, come stabilito dalla Corte d’Appello di Roma per Almasri.
Un esito che personalmente ritengo non coerente con l’ordine di arresto, e l’allerta internazionale, riguardo i ricercati, per crimini gravissimi, rimesso cosi alla discrezionalità del potere politico dello Stato aderente. Tuttavia, è interessante il non detto.
La circostanza che tale notizia filtri proprio alla vigilia del funerale del Papa, fa pensare che questa possa essere una mano tesa al premier russo, in vista dell’affermazione di colloqui di Pace da cui, se l’Europa si sente estromesso, potrebbe rientrarvi accodandosi agli sforzi diplomatici della Santa Sede.
I due leader lontani da Roma
Effettivamente, il condividere la stessa piazza con i leader Europei avrebbe portato sicuramente ad un’escalation positiva. Tuttavia, è solo una speculazione, di difficile attuazione, stante l’inadeguatezza di qualsiasi misura di sicurezza per arginare un possibile omicidio del Capo di Stato.
Rimane il fatto che la lettura della notizia come una mano tesa per distendere i fronti contrapposti nel cuore dell’Europa, pone una riflessione che va oltre il caso particolare.
Infatti lo strumento della Corte Penale Internazionale, secondo l’auspicio del noto giurista Hans Kelsen, è pensato per perseguire la pace attraverso il diritto. In un mondo sempre più orientato alla legge della forza si contrapporrebbe, quindi, la forza della legge.
Tuttavia, quando alcuni conflitti sembrano senza soluzione, e manca la volontà o la capacità di andare alle radici di questi, analizzando le ragioni delle parti, perpetrando invece una logica manichea funzionale a evitare di mettersi in discussione; la migliore cosa che si può fare è creare dei contesti comuni a queste parti.
Cosa che si è evitata accuratamente e, invece, grazie alla Chiesa, che si pone per definizione oltre e fuori dalle parti, potrebbe avvenire.
Evidentemente, per farlo, si dovrebbe eccepire, ad esempio, un’immunità differente da quella derivante dallo status, inerente invece alla circostanza dello spostamento.
Come, in antichità, le Chiese erano ritenute zona franca dal potere coercitivo degli Stati, così l’occasione del funerale del Papa, poteva, in astratto, comportare un’eccezione, non certo suscettibile di strumentalizzazione, o estensione ad libitum. D’altronde c’è anche il detto per dire raramente «ad ogni morte di Papa». Ecco, dato che come umanità siamo un disastro, che almeno si faccia la pace, ogni morte di Papa. Francesco avrebbe apprezzato.
Armando Mantuano