LA PROFEZIA DI MALACHIA

Una catena di Papi
prima del Grande Giudizio

 Secondo la Profezia di Malachia, ritenuta una riscrittura per condizionare i conclavi coevi comparsa quattro secoli dopo la morte del Santo, Papa Francesco sarebbe l’ultimo dei Pontefici prima del Giudizio Universale.

 

Nel periodo di sede vacante ossia alla morte del Papa regnante, Francesco, ho voluto approfondire un tema che è spesso associato alla elezione dei pontefici. La cosiddetta profezia di San Malachia.

La Profezia di Malachia, attribuita a San Malachia, arcivescovo di Armagh nel XII secolo, è una lista di 112 motti latini che descriverebbero i Papi a partire da Celestino II (1143) fino all'ultimo papaLa Profezia di Malachia, attribuita a San Malachia, arcivescovo di Armagh nel XII secolo, è una lista di 112 motti latini che descriverebbero i Papi a partire da Celestino II (1143) fino all’ultimo papa.

Tale profezia è presente nel volume del 1590, Lignum vitae, del Monaco benedettino Arnoldo di Wyom, che in quest’opera trascrisse l’accoppiamento, dei motti con i Papi e antipapi, fino a quella data, secondo la formulazione dello storico domenicano Alfonso de Cachon, lasciando per i futuri solo il susseguirsi di motti. Si dà quasi per certo che il testo fosse comunque conosciuto da prima della sua pubblicazione.

È opinione quasi unanime che il testo sia un falso fabbricato (o modificato) per condizionare i coevi conclavi, anche tenendo presente i riferimenti più espliciti dei Papi antecedenti la pubblicazione.

Tuttavia, il testo ha mantenuto una certa considerazione in ambito ecclesiastico se si pensa che l’esordio del Centro Cattolico Cinematografico si ha con il documentario Pastor Angelicus, su Pio XII, del 1942.

Soprattutto con l’elezione di Benedetto XVI si è tornati a speculare sull’attribuzione.

Gloria olivae. La catena di Papi a lui precedenti da Pio XII in poi ha presentato caratteristiche compatibili con i motti della profezia.

Nell’ordine, è opinione comune tra chi crede nella veridicità della profezia il seguente accoppiamento:

  • Pio XII Pastor Angelicus
  • Giovanni XXIII Pastor et Nauta
  • Paolo VI Flos Florum
  • Giovanni Paolo I De medietate lunae
  • Giovanni Paolo II De labore solis
  • Benedetto XVI Gloria olivae

Ma anche precedentemente a Pio XII. Ad esempio a Pio XI, con il motto Crux de Cruce, che potrebbe far riferimento alla persecuzione (croce) da lui subita ad opera dei Savoia, il cui stemma è crociato.

Oppure Leone XIII, Lumen de coelo, che può far riferimento alla cometa posta sul suo stemma, che riprenderebbe quello di famiglia, ossia del casato Pecci.

Comunque, si sono trovati riferimenti a tali motti più nella vita che nelle insegne, tranne che per Paolo VI che aveva un giglio.

Giovanni XXIII era pastore di Venezia, città marinara. Il regno di Giovanni Paolo I, nome Albino, è durato quasi quanto mezzo ciclo lunare.

I viaggi di Giovanni Paolo II hanno fatto il lavoro del Sole ed egli è nato il giorno dell’eclissi solare del 18 maggio 1920.

Infine Benedetto XVI prende il nome dal fondatore della congregazione degli olivetani.

Tra questi ultimi motti, peraltro, si situerebbe anche il motto scomparso Caput nigrum, da cui la credenza popolare del famoso ultimo Papa nero, da qualcuno associato alla testa di moro presente sempre nello stemma di Benedetto XVI.

I versi su Petrus Romanus

Secondo la Profezia di Malachia, Francesco sarebbe Petrus Romanus, il Pontefice destinato a chiudere la catena dei Papi che precede il Giudizio Universale.Chiude l’elenco il nome di Pietro Romano, a cui non è attribuito un motto, ma dei versi: «Nell’estrema persecuzione di Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine».

La coincidenza tra la fine della Chiesa, di Roma e il Giudizio Universale ha alimentato certamente le speculazioni a riguardo.

Se davvero Papa Francesco avesse chiuso l’elenco, dei riferimenti al Petrus romanus si sarebbero potuti vedere nella sua devozione alla Salus populi romani, presso cui si è voluto far seppellire.

Se invece fosse a lui attribuibile il motto Caput nigrum, effettivamente il generale del Gesuiti è definito, Papa nero.

La concatenazione di questi due motti, per molti, è anche un segno della compresenza di questi «due Papi».

La vigilia della fine

Ho letto in questi giorni il romanzo La vigilia della fine. L’autore, Olaf Shom Kirtimukh, ex induista convertito al cattolicesimo, laureato in teologia e letteratura inglese, con una prosa aulica inanella per più di 400 pagine segni su segni, tratti dalle pietre di Roma, intrecciati con la Profezia di Malachia di cui è uno dei massimi esperti, e, infine, con i segni dei tempi e del Tempo.

L’erudizione dell’autore è notevole ed è difficile anche per un madrelingua italiano di media cultura seguire le sontuose descrizioni, i richiami storici e culturali, nonché architettonici.

La concatenazione della storia forse perde spesso di tensione, e quella degli avvenimenti un pò di chiarezza, ma ci sono anche parti romanzate molto avvincenti, come la discesa del protagonista nelle catacombe dalla Basilica di Sant’Agnese fuori le mura.

In questa Chiesa, peraltro, c’è una traccia del passaggio di Pio XII, in una iscrizione del 1942, in cui è chiamato Pastor Angelicus.

È sorprendente come lo stesso romanzo (prima edizione 2001, col titolo Vigilia dell’eternità) contenga in sé alcune profezie.

Incredibile come il futuro Petrus Romanus, il protagonista del romanzo, sia un gesuita, e la sua storia, alla fine, si intersechi con i benedettini, facendo peraltro esplicito riferimento al colonnato di San Pietro in cui compare San Benedetto vicino Sant’Ignazio, il fondatore dei Gesuiti, l’ordine al quale apparteneva Papa Francesco.

Nel romanzo peraltro compare anche la teoria, non è detto condivisa dall’autore, alla base del famoso Codice da Vinci, ossia la fantomatica discendenza carnale della dinastia merovingia da Gesù, per mezzo di Maria Maddalena.

Una teoria al tempo certamente non in voga, anche se circolava già il controverso saggio il Santo Graal che aveva ispirato Dan Brown per il suo Codice da Vinci.

La storia del protagonista del romanzo dello scrittore indiano, la Vigilia della fine, peraltro, si dipana attraverso gli eventi bellici della Seconda guerra mondiale, e non mancano riferimenti interessanti alle circostanze relative alla decisione di bombardare l’abbazia di Monte Cassino.

L’autore, forse, traducendo la sua ricerca scientifica in un romanzo ha fatto perdere di qualità a quest’ultimo. Tuttavia, si dovrebbe proprio ad Olaf Shom Kirtimukh il recupero di una traccia del versetto mancante «Caput Nigrum», in un’incisione ritrovata nella chiesa di Santa Maria in Gradi, vicino Viterbo, dove avrebbe sostato san Malachia nel suo secondo soggiorno a Roma.

L’elezione di Leone XIV

Tornando a noi, l’elezione di Leone XIV sembrerebbe privare di credibilità la Profezia. Tuttavia, e questo si evince anche dal romanzo, il motto finale non può considerarsi uguale agli altri.

Prendere alla lettera il testo, magari, come si visto in questi giorni, arrivando a fare l’anagrafica di Prevost (Petrovs, con la v=u), sarebbe come affidarsi agli oroscopi.

Evangelicamente conoscere la sequenza della fine del mondo è precluso, in quanto il cristiano si pone in totale affidamento a Dio che dispone anche delle profezie che può aver suscitato nei secoli.

Sulle rivelazioni private, a cui al massimo può essere associato questo scritto, peraltro, la Chiesa è molto più prudente, lasciando ampia libertà ai fedeli di non credere anche a quelle ritenute più affidabili, come la profezia di Fatima (a proposito nel romanzo dello scrittore indiano c’è anche un riferimento a questa).

Insomma, Petrus romanus sarebbe un semplice sigillo per chiudere un elenco indefinito di Papi, elenco che assomiglia ai 113 (112+il motto caput nigrum) medaglioni della Basilica di San Paolo, che forse San Malachia visionò. Basilica, in cui, per inciso, sono presenti anche antipapi. Leggenda vuole che al consumarsi dei medaglioni vuoti, al tempo di Giovanni Paolo II ne mancavano 3, ma poi sono stati realizzati altri, finirà anche la Chiesa.

Se sono interessanti le coincidenze delle date, con l’elenco attribuito a Malachia, poi, si tengano presenti quelle dell’annuncio dell’abdicazione di Benedetto 11 3 ’13, oppure quella dell’elezione di Papa Francesco: 13 3 ’13.

Oppure il primo discorso di Papa Francesco al momento della sua elezione in cui simpaticamente dice, riferito al Vescovo di Roma: «Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo». Ovviamente sono solo simpatiche suggestioni.

Per chiudere riporto una risposta di Papa Benedetto ad una domanda di Peter Seevald, contenuta nel libro Ultime conversazioni, che rilancia un po’ di mistero e ironia sulla Profezia: «Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?

Tutto può essere. Probabilmente questa profezia è nata nei circoli attorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!».

Riprendendo il monologo di Michele Serra in cui lamenta l’attenzione mediatica per il Conclave di un mondo dove «non è l’angelo a vegliare, ma l’algoritmo, dove lo Spirito Santo ha cambiato ragione sociale, ora si chiama intelligenza artificiale, dove i centri commerciali sono molto più frequentati delle Chiese e dove ci si rivolge ad Amazon molto più di quanto non ci si rivolga a Dio», si può notare come non sia solo il bisogno di unità del genere umano, in una congiuntura dove sembrano prevalere i tribalismi, a spingere lo sguardo sul Colle Vaticano.

E’ la stessa ricerca di senso, di segni, del destino comune dell’umanità legato alla città di Roma, a riportare in auge vecchie profezie.

Armando Mantuano

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