L’attacco israeliano all’Iran iniziato giovedì notte può essere letto da numerose angolazioni. Una su tutte, l’irrilevanza occidentale in Medio oriente.
Se Israele è stato da sempre visto come parte integrante dell’Occidente, gli attuali sviluppi politici la rendono un’eccezione, un unicum.
Nel bel mezzo di negoziati sul nucleare iraniano condotti dagli Usa con Teheran, Israele ha bombardato duramente proprio siti nucleari e colpito scienziati collegati ai colloqui e ai piani di sviluppo, e comandanti militari che sono stati uccisi nelle proprie residenze, con colpi mirati e non, causando il crollo di edifici e la morte di numerosi civili.
Dettaglio secondario, per molti. Se ne parla pochissimo sui media.
Eppure, sia l’attacco ad obiettivi nucleari, il primo evidentemente deliberato, che quello di civili, rimane in violazione di ogni diritto all’autodifesa.
La guerra preventiva di Israele
L’attacco israeliano non può in nessun caso considerarsi una forma di «difesa preventiva» (preemptive war), ma una forma di guerra precauzionale (preventive war). Anche se in italiano i due termini inglesi vengono tradotti alo stesso modo (guerra preventiva), la differenza è essenziale ai fini della legittimità del diritto internazionale.
Non esisteva infatti alcun imminente pericolo per Israele, anzi, si potrebbe dire che l’attacco proditorio ha reso il mondo ancor meno sicuro. Tuttavia, è piuttosto ovvio che Israele abbia approfittato della risoluzione di giovedì del Consiglio dei Governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) che, per inciso, chiedeva una soluzione diplomatica, per bombardare l’Iran.
La presa di posizione del Consiglio, è sembrata, obiettivamente, un via libera alle ansie militari di Israele, con un tempismo che dovrebbe interrogare la comunità internazionale.
Il rischio, infatti, è la strumentalizzazione per fini militari delle Agenzie Internazionali; un’eterogenesi dei fini certamente non prevista, ma purtroppo conseguente ai doppi standard, figli dei rapporti di forza che contano più del diritto.
La ritrosia a far ispezionare i propri siti nucleari, peraltro, pare proprio rafforzarsi di fronte alle minacce e agli effettivi attacchi portati proprio su quegli obiettivi.
Ci sarebbe quindi da dire sulla corresponsabilità di un occidente, che venera il culto della forza, nell’alimentare la tentazione nucleare.
«Cane pazzo» anche per l’Occidente
«Dobbiamo essere percepiti dal nemico come un cane pazzo, troppo pericoloso per essere disturbato»: così sentenziava anni fa il generale israeliano, Moshe Dayan.
Quello che sembra, però, è che, come tale, venga percepito anche dagli alleati.
Oltre ad essere la pietra d’inciampo di ogni sostenibilità dei diritti umani, di cui l’occidente si vorrebbe fare (addirittura) primo promotore, la politica israeliana non tiene in minimo conto gli interessi dei suoi alleati.
Anzi, le timide politiche di dissuasione europee nel far perseguire una carneficina a Gaza, che fa impressione anche agli avvezzi americani, hanno portato Israele a non considerare punto gli europei e, in maniera limitata, gli Usa.
Così si può spiegare l’impreparazione di tutte le cancellerie, specialmente quella italiana che, con Tajani, invece di non esprimersi, è stata investita dalla propaganda ingannevole dei servizi segreti, arrivando a dichiarare (h 17.34, giovedì 12 giugno 2025): «Non abbiamo alcun segnale che ci sarà un attacco israeliano contro l’Iran nell’immediato futuro».
Eppure, per chi conosce un po’ la politica di copertura formale della pre-potenza bellica, la risoluzione poteva sembrare proprio un semaforo verde.
Per curiosità ho voluto ascoltare i notiziari della sera, senza alcun accenno a tale risoluzione, né alle continue minacce di Netanyahu, omissioni, che, col senno di poi, confermano questa ipotesi.
La debàcle di Trump
Se è ancora presto azzardare giudizi su altri fronti, l’avvenuto attacco all’Iran rappresenta una sicura contraddizione rispetto ai propositi sbandierati da Trump.
Anche se adesso si schiera apertamente a favore dei bombardamenti — mascherando così di aver subito l’iniziativa — ventilando l’ipotesi che l’attacco sia avvenuto alla scadenza del termine che lui aveva dato all’Iran (sì, e il round di negoziati di domenica prossima, fissato in precedenza da te, Donald?), la passività obbligata a cui è costretta l’America — e il suo apparato militare costretto al supporto — da tale operazione, è troppo evidente.
Sempre giovedì (h 18.34), Trump aveva detto: «Siamo abbastanza vicini a un accordo con l’Iran. Finché penso che ci sia un accordo, non voglio che entrino [riferendosi a Israele]. Ma abbiamo avuto ottime discussioni con l’Iran».
Peraltro questa presa di posizione seguiva quella iraniana in risposta alla risoluzione del Consiglio dei Governatori dell’Aiea secondo la quale «L’Iran ordina il lancio di un nuovo centro di arricchimento in un luogo sicuro e la sostituzione delle centrifughe IR-1 con quelle avanzate IR-6 presso l’impianto nucleare sotterraneo di Fordow in risposta al voto dell’Aiea. Sono in fase di progettazione ulteriori misure che saranno annunciate a breve».
Successivamente l’Iran, attraverso i suoi portavoce aveva aggiunto di voler ridurre la cooperazione con l’Aiea e di valutare il ritiro dal trattato di non proliferazione di armi nucleari. Solo la Corea del Nord ne è uscita nel 2003, ma ci sono paesi che non ne sono parte, come Israele.
La finestra temporale
Netanyahu, con l’operazione battezzata leone rampante, in riferimento al Libro dei Numeri della Bibbia, cap. 23, ma pure alla bandiera dei nostalgici della monarchia persiana, all’opposizione rispetto agli ayatollah, ha voluto cogliere un’opportunità che ha rivendicato come unica per Israele.
Come altre operazioni, ad esempio quella con i cercapersone in Libano, il tempismo è stato dettato dalla prontezza a colpire l’obiettivo.
Questo elemento guida tutte le altre considerazioni, anche quella di rispettare l’alleato strategico indispensabile; peraltro effettivamente affascinato dal risultato pratico ottenuto.
In concomitanza, però, c’è stato anche il voto della risoluzione dell’Aiea, un evento che ha portato una forma di copertura e di «supporto morale», da subito rivendicato dallo Stato di Israele.
Ecco come analizzare i proclami israeliani, che, parlando di “futuri piani”, “possibilità di arricchire l’uranio per avere, circa, 9 bombe”, cercano così di giustificare gli obiettivi, tra cui l’uccisione di diversi professori e decani di università, coinvolgendo quindi una dimensione accademica che, di solito, si tende a salvaguardare.
Le parole di Rafael Grossi
L’attacco israeliano segue di poco lo svelamento di file che proverebbero i legami dell’Aiea e del suo presidente Rafael Grossi, con lo Stato di Israele, e il possesso di altri che indicherebbero gli obiettivi nucleari in Israele.
Bisogna subito dire che quelli offerti al pubblico sono poca cosa e non provano alcun coinvolgimento del Direttore Nazionale per l’Energia Atomica, mentre l’incapacità difensiva iraniana rispetto agli attacchi è sembrata lampante.
Tuttavia Grossi ha ragione quando dice al Jerusalem Post che un attacco ai siti nucleari da parte di Tel Aviv rafforzerebbe la coesione popolare attorno al programma nucleare nazionale, alimentando il gradimento verso un’atomica che si vedrebbe sempre più necessaria per acquisire dignità politica.
Oltre a ciò, ci sarebbe quell’inevitabile stringersi a coorte, che si nega solo per l’Iran, nonostante sia sperimentabile anche in un Israele molto più diviso.
Di fronte all’attacco avvenuto, il Responsabile dell’Aiea ha reiterato la necessità di implementare il dialogo e la trasparenza, come unica via per sfavorire l’escalation bellica, proponendo di visitare i luoghi colpiti.
Forse potrebbe essere una via d’uscita, cercando garanzie internazionali, al posto di colloqui con partner che sembrano inaffidabili.
Nel frattempo, la risposta iraniana c’è stata e anche i nuovi attacchi israeliani con altri morti civili.
La strategia di Tel Aviv
Finché l’Iran sarà trattato da paria internazionale, Israele sentirà il mandato morale di continuare all’infinito le guerre, contro «nemici metafisici».
Deve essere stato un brutto momento, infatti, quando sono circolate voci di possibili riduzioni o eliminazioni di sanzioni, nei negoziati con gli Usa.
L’Iran, peraltro, premeva per un maggior coinvolgimento italiano rispetto ad un formato internazionale, gli E3 che comprende Uk, Germania e Francia, che aveva mostrato i suoi limiti.
Proprio quando è stata ventilata questa proposta, il governo israeliano, attraverso la sempre ben informata Channel 12, ha ventilato preoccupazioni e cominciato a pensare ad attacchi unilaterali a siti iraniani.
Se si conosce un poco Trump, questo passo, effettivamente attuato, non deve essere stato ben accolto da chi vuole sempre avere il pallino di negoziati e politica estera, in quanto si ritiene, a ragione, date le capacità militari, l’attore protagonista.
La forza di attuare un attacco così rischioso non deriva però solo dall’influenza, sicuramente indubbia, di Israele sul Governo americano.
Deve invece essere collegato alla centrale nucleare di Dimona, luogo in cui (insieme ad altri), a detta dello stesso Rafael Grossi, l’Aiea non può avere accesso, al contrario del sito di Soreq.
Che la deterrenza nucleare significhi anche indipendenza e parità strategica, anche e soprattutto verso un alleato così ingombrante e indispensabile come gli Usa, dovrebbe far riflettere tutti gli indignati a senso unico.
Peraltro gli Stati Uniti hanno aperto lo spazio aereo iracheno da loro controllato, di cui il governo locale ha chiesto all’Onu la violazione, e hanno probabilmente dato supporto per rifornimenti e intelligence sugli obiettivi, oltre, pare, ulteriori missili.
Per giustificare questo coinvolgimento, adesso, si ipotizza addirittura che Trump abbia fatto dichiarazioni ingannevoli per rendere più impreparato l’Iran.
Scenario che renderebbe Trump definitivamente inaffidabile in ambito diplomatico e negoziale, e che lo squalifica nel profondo nella sua più importante caratteristica politica, peraltro più volte rivendicata.
Per frenare un’escalation, servirebbe quindi una dura condanna della comunità internazionale, anche considerando che attaccando i siti nucleari sotto il controllo e la salvaguardia dell’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica, lo Stato di Israele ha compiuto un’ulteriore flagrante violazione della Carta Onu, di cui fa parte detta Agenzia.
In sede Onu, Israele spavaldamente ha voluto rivendicare addirittura il ruolo di aggredito da parte dell’Iran.
La Cina, invece, ha stigmatizzato Israele per aver oltrepassato l’ennesima linea rossa, attaccando siti nucleari.
Peraltro il sito di Natanz, che ha resistito alle prime ondate, è stato ripetutamente colpito, nonostante, e dopo, le flebili proteste dell’organismo internazionale deputato alla salvaguardia e alla sicurezza nucleare.
Se prima i livelli di radiazioni non erano saliti, ora si assiste alla contaminazione all’interno della struttura, come ammesso da Rafael Grossi.
Purtroppo, la crisi del diritto internazionale è anche figlia dell’irrilevanza, rispetto a certi attori, di tale comunità.
Armando Mantuano