Mentre l’Ucraina attende ancora il via libera per l’utilizzo delle armi a lunga gittata, in Medio Oriente Israele ha varcato tutte le linee rosse approfittando del vuoto di leadership determinato dall’attesa per le elezioni presidenziali americane. Così, da un lato, si assiste da un all’escalation sul fronte orientale dell’Europa, dall’altro vediamo il fronte libanese sollecitato forse fino al punto di non ritorno.
In mezzo le operazioni nei residui lembi di terra palestinese, da Gaza alla Cisgiordania, con annessi crimini ormai in mondo visione.
Il conto delle vittime civili non sembra nemmeno più un tema. L’inedita guerra ibrida tecnologico-commerciale inaugurata da Israele apre prospettive cupe.
L’Iran ancora attende di mostrare la sua risposta dopo la violazione della sua sovranità, con l’uccisione dell’ex capo di Hamas, il «moderato» Ismail Haniyeh.
Per tenere uniti i sottilissimi fili della deterrenza si guarda ad Occidente, alle prossime elezioni americane.
I due contendenti si sono confrontati giusto qualche giorno fa, ma sembra un secolo col succedersi degli avvenimenti.
Oscurato anche l’ennesimo attentato sventato a Trump. Un pazzo? Forse. Certo, un fanatico dell’attuale politica di Biden, tanto da abbandonare la sponda Repubblicana e cercare di essere più realista del re, reclutando volontari afghani per gli scenari di guerra di Taiwan e Ucraina, in una personale lotta tra il bene e il male fissata in uno scritto che ricorda i toni di Breivik (lo stragista norvegese) e il suo manifesto.
Eppure il dibattito televisivo sull’Abc, al netto delle presunte denunce (mediatiche) sui gatti cucinati, e per l’endorsment di una cantante pop (vero ago della bilancia in un sostanziale pareggio) per i quali probabilmente sarà ricordato, ha offerto al pubblico i temi veramente salienti:
- la tenuta della democrazia americana
- il ruolo americano nelle zone di faglia globali
Gli eventi del 6 gennaio hanno sapientemente oscurato il tema della contestazione, sfociata (inevitabilmente) in un assedio, poi «progredito» in un assalto.
L’accusa di sedizione verso Trump lo porta in automatico nella casella «nemico del popolo».
Eppure nel Venezuela di Maduro gli Usa sostengono la vittoria dello sfidante di Maduro contestando il risultato ufficiale delle elezioni presidenziali svolte da poco.
Senza voler omogenizzare i diversi sistemi, o prodigarsi ingenuamente nel considerare i «buoni» immuni da vizi, è utile evidenziare il tema posto da Trump.
Il dibattito televisivo tra i due candidati
Sollecitato dal giornalista se avesse «accettato» (ma sarebbe più corretto dire «verificato»), l’esito delle elezioni, che avrebbe dichiarato di aver perso per il rotto della cuffia, il tycoon, che forse ha fatto questa affermazione proprio per avere la possibilità di affrontare il tema, ha dichiarato che era ironico. Ha poi elencato i seggi e gli spogli dei suoi voti da lui definiti «problematici», rilevando incidentalmente di non aver potuto istruire una verifica respinta per vizi di forma.
Niente di peggio del dubbio in una società polarizzata come quella americana e fomentata da aneliti palingenici (vedi Q-anon, narrazione che vede Trump lottare contro il Deep State), in cui il complottismo trova terreno fertile.
Attenzione, la narrazione avversaria liquida troppo semplicemente questi temi, lasciando sempre un senso di superficiale copertura. Ad esempio il voto per corrispondenza.
Ci sono certamente dei sistemi per garantire tracciabilità delle buste spedite e il loro ritorno, ma c’è un margine fisiologico di voti ad indirizzo sconosciuto, buste che rimangono sospese, numeri che possono essere messi sul conto di un candidato.
L’incognita del voto per corrispondenza
Un margine che nelle elezioni del 2020 in concomitanza con il Covid e con la promozione del voto a distanza, soprattutto da parte democratica, potrebbe essere risultato decisivo, come riferito dal gruppo indipendente «Public Interest Legal Foundation» che ha contato 15 milioni di voti dubbi (il margine tra i due candidati è stato di 6 milioni).
Valutando il dislivello di percentuale di preferenze a netto favore di Biden, (ad esempio 3 su 4 in Pennsylvania, con un incremento di 7/8 volte del voto via lettera) giustificato dai media con la svalutazione dello strumento da parte di Trump (che lo considera manipolabile), l’ipotesi non sembra da scartare a priori.
Considerando che, come spiega la testata giornalistica Politico, alcuni funzionari lamentano per le prossime elezioni l’inadeguatezza del sistema postale statunitense già all’opera per questo tipo di votazioni, il tema non è proprio da sottovalutare.
Trump, però, ha portato anche altri temi a riguardo: la delegittimazione politica, che arriva sino a fare un appello per arginare il pericolo per la democrazia, incarnato nella sua persona, appello forse preso troppo sul serio da alcuni «attivisti», non permette di svalutare l’ipotesi di manipolazione dei voti, anche discretamente, sempre, ben inteso, a fin di bene.
Infine, la strabiliante vittoria di Biden nel 2020, stracciati i record di preferenze dei due candidati e la statistica anteriore, si è ridotta al lumicino dopo poco tempo, fino alla totale sfiducia anche dello stesso suo partito. Eppure la condizione fisica di Biden ha da tempo preso la china conforme alla stagione di vita attraversata.
Sono temi che fanno il paio con le prime accuse di manipolazione elettorale, non certo venute da Trump, ma da Obama- Clinton che hanno orchestrato il caso Russiagate contro Trump.
Il ruolo degli Usa nel mondo
Il tema dei temi, per tutti, non solo per gli Americani, è la sfida geopolitica che attende gli Usa da cui dipende anche il benessere futuro degli stessi cittadini americani.
Nell’ultimo mandato il mondo è diventato meno sicuro e instabile: se da un lato i «nemici» hanno alzato la cresta, la deterrenza americana non riesce a tenere a freno nemmeno gli «amici» bellicosi.
Concentrandosi su questi ultimi, si è passati dalla minaccia di includere frange israeliane tra i gruppi terroristici, al comminare sanzioni alla Corte di Giustizia Internazionale rea di voler spiccare un mandato di arresto per i crimini commessi da Netanyahu.
Senza con ciò far virare la politica di guerra di Israele, né frenare il conteggio di civili bombardati, violenze brutali, l’accrescere dell’odio indiscriminato. L’ultimo, ma non il più grave episodio, il filmato di soldati israeliani mentre gettano da un edificio i corpi (gravemente feriti?) dei loro nemici (ormai senza distinguere essendo la nozione di terrorismo identificata con il «passaporto»).
Ricordiamo, che il Governo sionista ha parlato di «incidente», facendo intuire che questo episodio rientrerà nell’impunità del 99,13 % dei casi investigati riguardo l’esercito israeliano.
Davvero, di fronte a questo scenario, la candidata democratica sembra veramente poco attrezzata.
Non solo Trump è visto come interlocutore da più di un Premier, ma lo stesso Biden sembra sempre più una presenza fantasma, trascinando nell’inconsistenza più totale colei che già viveva dietro la sua ombra.
Le linee rosse superate da Israele
Ad esempio, l’ennesimo avanzamento di linee rosse, il bombardamento di Beirut, dove è stato colpito un palazzo residenziale in una zona densamente popolata, è stato comunicato a esponenti del Governo Usa solo una volta compiuto.
Le famose smorfie di Kamala Harris che, secondo alcuni, avrebbero disinnescato le invettive di Trump, hanno solo provocato imbarazzo in chi si immaginava la scena di fronte ad un consesso internazionale.
Le sfide per gli Usa, e per noi che siamo legati allo stesso carro (speriamo non come muli da soma), saranno anche più dure di queste.
Quella con la Cina è dietro l’angolo, e si gioca sull’innovazione e sulla politica green, cavallo di battaglia dei dem.
Ancora, il trasformismo di Harris: se le ha evitato di affrontare in conflitto la prospettiva di Trump andando a toccare veri e propri totem, dietro ai quali, però, si propaga l’impunità e lo screditamento dei cosiddetti diritti umani (ossia il cuore del pensiero di sinistra), ha finito per renderla però più debole, perché poco radicata nelle convinzioni, nelle idee, e, quindi, non autorevole come soggetto politico.
Volente o nolente, che ne abbia o no le capacità, Trump sta catalizzando su di sé le aspettative di mezzo mondo, come anche le elezioni Usa che, si deve dire, senza di lui, sarebbero anonime.
Non si vedono, non solo in America del Nord, ma in tutto l’Occidente, politici carismatici.
Pertanto, prima di lamentarsi di Trump, cerchiamo di osservare il contesto.
Armando Mantuano