Quando si scorgono i segnali che una democrazia si sta trasformando in un regime dittatoriale, bisogna essere pronti a prendere le distanze, senza per questo utilizzare la solita coperta giustificativa, dall’aspetto ormai logoro viste le tante strumentalizzazioni. Ci si riferisce alle accuse conclamate di crimini di guerra ai vertici del governo di Israele.
Crimini che vanno di pari passo con l’inasprimento della censura che, dopo aver colpito agenzie internazionali e giornali internazionali, adesso si accanisce con i media interni.
Una china pericolosa, se l’amalgama della popolazione israeliana sembra essere il coagularsi contro il nemico esterno, incarnazione più o meno realistica dell’antisemitismo, parola d’ordine e mirino da puntare a seconda delle esigenze, per sfogare i propri strali, a prescindere.
Siamo oltre i 2 minuti d’odio di Orwell in 1984, anche perché in ogni guerra il nemico è reale, palpabile, lo ricordano gli Tzeva Adom, i codici rossi attivati nelle città, anche a Tel Aviv, per il lancio di razzi.
Tuttavia, i riflessi condizionati indotti, la stanchezza di una routine di cui non si vede la fine, condizionano la percezione della popolazione. Il governo, anche il peggiore, non può che essere la roccia che affiora nel mare in tempesta.
Ecco perché anche i parenti delle vittime non possono che chiedere l’inasprimento del conflitto, far cedere con la forza chi trattiene gli ostaggi israeliani, restando insensibili all’annientamento dei palestinesi di Gaza.
Epperò esiste un’altra fetta di popolazione, quella che ritiene prioritario un accordo, avendo ben chiaro che l’ideologia kahanista non è un mero accidente della politica israeliana, che non ha paura di dare voce anche alla parte araba israeliana, che cerca in tutti i modi una memoria condivisa.
The Shift 101 è un gruppo di parenti degli ostaggi che protesta silenziosamente davanti ai palazzi governativi per la sorte dei loro cari, nelle mani sia di un’organizzazione decimata che di un governo la cui proiezione va oltre i confini legittimi.
Confini non solo territoriali, ma anche di diritto.
Le accuse a Netanyahu e Gallant
Il 21 novembre la Corte penale Internazionale ha confermato l’accusa per i vertici dello Stato di Israele per aver diretto attacchi deliberati contro civili inermi, per aver utilizzato la fame come metodo di guerra, nonché la privazione deliberata di generi di prima necessità. Una mancanza particolarmente rilevante per l’impatto sul sistema sanitario, che ha compreso addirittura gli anestetici, causando la sofferenza di pazienti, anche bambini, che venivano sottoposti ad amputazioni.
Frutto di un’investigazione meticolosa, queste accuse saranno probabilmente l’epilogo giudiziario delle vicende, in quanto difficilmente si instaurerà il giudizio vero e proprio, con possibilità per gli imputati non solo di controdedurre, ma di impugnare la decisione.
In questa fase preliminare si è imposto un segreto per gli atti di indagine, stante la prosecuzione della guerra e delle condotte descritte.
Evidentemente l’alto numero di giornalisti uccisi durante il conflitto, nonché la requisizione delle sedi di Al Jazeera in Cisgiordania, possono far temere per l’incolumità di chi si è esposto.
Israele ha inoltre contestato formalmente la giurisdizione della Corte ad indagare sui vertici di uno Stato che non ha approvato lo Statuto di Roma, ma questo è avvenuto prima dei mandati di arresto, inoltre ci sarebbe un precedente della stessa Camera che legittimerebbe la giurisdizione sopra il territorio palestinese.
Le accuse riguardano fatti fino al maggio 2024, non è escluso quindi che ci siano nuove accuse, stante l’escalation bellica che ha visto coinvolto Israele.
Giuridicamente, però, è stato ritenuto di fondamentale importanza l’inerzia dello Stato israeliano nel condurre indagini riguardanti (anche presunti) crimini.
Le contestazioni sulla procedibilità, quindi, non potevano essere addotte per quel motivo specifico.
La mancanza di indagini domestiche, fonda peraltro la consapevolezza che queste non sarebbero state imparziali, dovendo necessariamente condursi in maniera equa con delle garanzie che la Corte sarebbe chiamata a valutare.
L’articolo 17, comma 2 dello Statuto di Roma sul quale si fonda la giurisdizione della International Criminal Court indica le circostanze da evitare:
- Il procedimento è stato condotto, ovvero la decisione dello Stato è stata adottata, nell’intento di proteggere la persona interessata dalla responsabilità penale per i crimini di competenza della Corte indicati nell’articolo 5.
- Il procedimento ha subito un ritardo ingiustificato che, date le circostanze, è incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.
- Il procedimento non è stato, o non è condotto in modo indipendente o imparziale, ed è stato, o è condotto in modo tale da essere – date le circostanze – incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.
Il giro di vite contro la stampa domestica
È curioso che proprio pochi giorni dopo la notifica dei mandati di arresto, il Governo decida di sanzionare proprio un giornale di grande tiratura come Haaretz.
Il motivo sarebbero alcune affermazioni dell’editore del giornale che avrebbe condannato la pratica coloniale degli insediamenti e avrebbe bollato coloro che vi si oppongono come combattenti per la libertà, e non terroristi.
Peccato che tali frasi sarebbero del 27 ottobre, circa un mese fa e, a ben vedere, testimoniano una posizione più equilibrata nel merito, più propensa all’analisi e meno agli slogan.
Successivamente l’editore ha peraltro fatto capire che non si riferiva nemmeno ad Hamas.
In un clima del genere non sembra ci siano le condizioni per una revisione dei metodi di attacco e di guerra, una seria discussione sui principi che muovono un governo e su un’ideologia che non sa confrontarsi nemmeno con la sua storia.
È tuttavia strano, considerando che il 7 ottobre non ha portato al disconoscimento del valore delle vite dei palestinesi, quello, purtroppo già c’era (anche se si è radicalizzato sino a estendere l’insensibilità ai neonati), ma a quello degli israeliani che, dopo quegli eventi, potranno essere maggiormente sacrificati. La dottrina Annibale, figlia del mito di Masada, ha infatti diverse ramificazioni.
Il film sulla presa di Lyd
C’è un’altra coincidenza, il Governo su segnalazione di un militante di estrema destra, ha evitato la proiezione di un film sulla conquista araba della città di Lyd, da cui è stata deportata la popolazione araba e si sono commessi omicidi di massa in una moschea dove i civili erano stati fatti concentrare.
Per i militari israeliani ciò sarebbe stato fatto frettolosamente in conseguenza di un lancio di granate dalla moschea, un’eventualità, però, forse, solo percepita.
Questo è ciò di cui parla il film, con testimonianze bipartisan.
Non è l’unico film censurato, ma il salto è costituito dalla dura presa di posizione del Ministro della Cultura, in linea con i militanti ultranazionalisti, che in un regime diventerebbe il Ministro della Propaganda.
In realtà queste che ho elencato sono solo alcune notizie dell’edizione del 21 novembre di Haaretz, nello stesso numero veniva illustrato un raduno di simpatizzati del rabbino Meir Kahane, le cui idee vengono portate avanti dal Ministro della Sicurezza nazionale di Israele, idee che sono state considerate razziste anche dalle Corti domestiche.
Interessante poi un altro articolo in cui si parla della transizione da una guerra liberale a un pace illiberale sotto Trump e delle conseguenze di qualsiasi annessione per lo Stato di Israele che non sarebbe più da considerarsi come democrazia.
La mancanza di pluralismo
L’assenza di una voce del genere, o comunque una sua significativa limitazione, dovrebbe essere vista come pericolo proprio dall’Occidente, ma l’eco di un dibattito, da noi, si fa ancora più flebile.
Le prese di posizione da parte dei politici delle nazioni europee, a seguito del mandato di arresto, testimoniano di un appiattimento che non permette certo considerazioni lungimiranti.
Il G7 dei Ministri degli esteri riunitosi in questi giorni ad Anagni probabilmente continuerà nella strenua difesa a priori dell’alleato, non considerando le implicazioni in termini di credibilità, e, quindi, del conseguente svuotamento sostanziale della democrazia.
Un’eccezione da segnalare è quella di Josep Borrel che ha ribadito come i mandati di arresto siano giudiziali e non politici e non abbiano nulla a che fare con l’antisemitismo. Che il sostegno dell’Unione Europea agli organismi internazionali non può essere selettivo, ritenendo, quindi, le sanzioni inaccettabili, specialmente dagli Usa.
La difesa delle Corti internazionali testimonia della difesa del multilateralismo promosso dalla Ue e non può prescinderne. Gaza è diventata l’inferno in terra, ma ai media è proibito di entrare e non si veicolano le relative immagini.
La manipolazione e la disinformazione avvelenano le menti e disumanizzano l’altro: l’algoritmo dell’odio è più redditizio di quello della pace. Ma il prezzo di non avere pace è troppo grande, bisogna quindi agire su 5 principi:
- Supportare il terreno della pace.
- Confrontarsi con chi lo intralcia, in tutte le parti coinvolte.
- Rimanere ai fatti senza distorsioni ideologiche e narrative di parte.
- Proteggere il diritto internazionale e le sue istituzioni.
- Usare le leve dell’Unione Europea per promuovere la pace.
In poche parole si chiede all’Ue di essere rilevante nei numerosi conflitti che si stanno susseguendo, tenendo fede alla propria vocazione originaria.
Armando Mantuano