Dopo che il 17 ottobre la sezione immigrazione del tribunale di Roma, attraverso il cavillo della indeterminatezza dei cosiddetti «paesi sicuri», non aveva convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader in Albania, il 21 ottobre il Governo ha formalizzato con un decreto legge la lista di tali paesi.
Questione risolta? Macché. Un giudice del Tribunale di Bologna, non ha ritenuto sufficienti i parametri utilizzati per individuare «le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un Paese terzo come paese di origine sicuro» e ha presentato ricorso alla Corte di Giustizia Europea.
Chi sia il magistrato che ancora una volta tenta di forzare quella «divisione dei poteri» alla base della nostra democrazia cercando di conculcare il potere esecutivo del Governo è ben chiarito in un articolo del quotidiano Libero al quale rimandiamo i lettori interessati all’approfondimento.
L’interpretazione partigiana della sentenza Ue
Togliete il buon senso… e rimane ben poco. Anche in campo giuridico. Perché le leggi sono fatte innanzitutto di parole e moltissime di esse, fatalmente, si prestano a interpretazioni diverse. Più o meno discutibili. Più o meno estensive.
È il caso dei «Paesi sicuri», appunto. È il caso dei magistrati, dapprima europei e poi italiani, che hanno messo in discussione l’attuale elenco degli Stati in cui è possibile effettuare i rimpatri.
Riprendendo una sentenza della Corte di giustizia europea, i giudici di Roma e di Bologna hanno eccepito che non si possono definire «sicuri» quei Paesi che non lo siano completamente. Cioè in ogni parte del loro territorio e senza che nessuno rischi di essere discriminato, per quei comportamenti che laggiù siano ritenuti illeciti mentre non lo sono, invece, nelle democrazie occidentali.
Ergo, i «Paesi sicuri» sarebbero quelli che condividono i nostri valori e che perciò, almeno a grandi linee, ricalcano anche le nostre normative.
Ma quante saranno, fuori dalla Ue, le nazioni che ne rispecchiano i valori e gli assetti? Non molte, evidentemente.
E dove mai si potranno mandare, allora, quei migranti che non abbiano diritto all’asilo?
Ai magistrati in questione non interessa. Loro si sbizzarriscono come più gli aggrada e sorvolano sul resto. Ossia sulle conseguenze effettive, concrete, quotidiane, dei loro alati pronunciamenti.
Proclami antichi. Anzi, decrepiti
Il vizio è già all’origine. E risiede, come abbiamo sottolineato altre volte, nelle scelte che vennero fatte molto tempo fa, a partire dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso.
Nell’ansia di affermare l’etica delle democrazie liberali, ci si precipitò a sancire i cosiddetti diritti universali. Stabilendo altresì delle norme vincolanti.
«Ogni individuo – proclama l’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948 – ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni».
L’articolo 10 della nostra Costituzione lo aveva preceduto di quasi un anno: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Certo: all’epoca era facile. Quelle previsioni, potenzialmente amplissime (basti pensare alle centinaia di milioni di persone che vivevano sotto i regimi comunisti), si risolvevano all’atto pratico in un numero limitato di casi. Limitato fino all’irrilevanza. Senza nessun impatto sulla popolazione preesistente.
Detto in maniera spiccia, bella figura con poca spesa.
Poi, invece, sono iniziate le migrazioni di massa. E i vizi nascosti hanno cominciato a emergere. Ad aggravarsi. A esplodere.
La magnifica teoria è andata a sbattere contro la realtà. Mentre i vertici dell’Unione Europea, e più in generale le (famigerate) classi dirigenti, si ostinavano a proseguire imperterrite. Pavoneggiandosi nel loro umanitarismo di facciata.
Che serviva da alibi per il sistematico assenso alle pressioni, niente affatto umanitarie, dell’economia globalizzata.
Se una norma non funziona…
Vale per le modalità di contrasto all’immigrazione irregolare. E vale per molti altri ambiti, dal narcotraffico alle mafie e via via più giù, fino alla microcriminalità e ai reati, tanto più odiosi perché subdoli, dei «colletti bianchi».
Le leggi sono essenzialmente degli strumenti, finalizzati a conseguire determinati scopi. Gli uomini le fanno, gli uomini le disfano. Ogni volta che esse non si dimostrino all’altezza del compito, rivelando dei difetti più o meno profondi nei loro presupposti o nelle loro articolazioni specifiche, bisogna scuotersi dall’inerzia e intervenire nel modo più risoluto e tempestivo. Impugnando il bisturi e capendo cosa c’è da tagliare. Da amputare. Nel tentativo di arrivare a un risanamento.
Ma quando diciamo «leggi», attenzione, non intendiamo solo quelle ordinarie. Che sono al di sotto dei principi costituzionali e delle norme internazionali che le orientano.
A volte, come in questo caso, diventa necessario risalire molto più indietro e identificare la vera causa delle distorsioni in atto. Riconoscendo, e denunciando, il sopravvenuto anacronismo di certe nobili intenzioni del passato.
A suo tempo, magari, era sembrato che non fosse così. Era parso che quell’idealismo si potesse tradurre in prassi reali e prive di controindicazioni talmente forti, talmente gravi, da metterle in antitesi con gli interessi dei cittadini.
Perfetto. Siamo democratici. Siamo liberali. Siamo solidali con gli abitanti dell’intero pianeta. Siamo felici di esserlo.
Peccato che però, nel frattempo, il mondo sia cambiato. Profondamente. A tal punto da rendere semplicemente impossibile mantenere quelle aperture. Così enormi da diventare insensate.
Sì, siamo ancora democratici. E ancora liberali. Ma siamo anche, dobbiamo essere, razionali e pragmatici.
Gli ideali appesi al nulla smettono di essere nobili e si ribaltano in messinscena. Fanatica o pigra a seconda dei casi. Comunque inaccettabile.
Gerardo Valentini