La morte del giovane egiziano Ramy Elgaml avvenuta il 24 novembre a Milano, mentre insieme ad un amico su di uno scooter cercava sfuggire ai carabinieri che lo inseguivano, è stata utilizzata dalla sinistra dei centri sociali per inscenare violente manifestazioni contro le Forze dell’ordine a Roma e a Bologna.
Al di là delle strumentalizzazioni dei nostalgici degli anni di piombo, il tragico evento ripreso dalle dashcam delle gazzelle dei carabinieri e veicolate ai media hanno acceso il dibattito sulle «regole d’ingaggio» dei nostri operatori delle forze di polizia.
Le immagini e il verbale dell’incidente
Un problema si riscontra nella discrepanza tra il verbale redatto a seguito dell’incidente e le immagini che testimoniano una collusione con l’auto delle Forze dell’ordine.
Si era ipotizzato, a carico degli inseguitori, un cambio di imputazione da omicidio stradale a omicidio per dolo eventuale, anche se tale modifica non è stata ancora resa effettiva dopo l’acquisizione dei nuovi video.
Si attendono ovviamente altri riscontri, tra cui la traccia della cancellazione dei video da parte dell’amico della vittima, Omar, che aveva dichiarato di essere stato indotto a farlo dagli Agenti.
Nel nuovo documento video, dopo lo schianto, si vedono in effetti due operatori dirigersi verso un ragazzo sul marciapiede che alza le mani in segno di resa.
L’imputazione di omicidio stradale è infatti di natura colposa, invece il dolo eventuale che potrebbe essere contestato indica una predisposizione ad accettare l’esito infausto di un proprio comportamento ai danni della vittima, nello specifico la sua morte.
Proprio la professionalità delle forze dell’ordine e la loro esperienza non li esime dalla consapevolezza delle conseguenze di certi comportamenti.
Difficile quindi non prevedere la possibilità che l’inseguimento si concluda con la morte del conducente di un motorino, tanto più che qualche minuto prima ci si era accorti che la vittima aveva perso il casco.
Ci si è soffermati poi sui commenti degli operatori di polizia che hanno speronato una prima volta il motorino senza risultati, lamentandosi della mancata caduta. Tuttavia, l’impatto in quel caso avviene in maniera quasi statica e avrebbe permesso la neutralizzazione dei fuggitivi senza, o quasi, danni.
È invece l’altra gazzella a concludere l’inseguimento in viale Quaranta, finendo a poca distanza dal palo su cui impatta violentemente il motociclo.
Le ragioni di un inseguimento
La polarizzazione dell’opinione pubblica, evento tutt’altro che accidentale ormai, oscilla tra due posizioni antitetiche:
- Bisognava lasciare il mezzo scappare prendendo solo il numero di targa, minimizzando così i rischi.
- Era giusto inseguire lo scooter che non si era fermato all’alt e chi scappa ha sempre torto.
Nel primo caso si sminuisce la deterrenza delle Forze di polizia fino a renderle praticamente invisibili, nell’altro si ipotizzano interventi al di fuori delle regole e, quindi, potenzialmente pericolosi, da parte degli operatori che dovrebbero, invece, garantire la sicurezza.
Le immagini finali, tuttavia, sembrano ritrarre l’auto delle Forze dell’Ordine speronare il motorino, infatti si troveranno tracce della pelliccia del giubbotto di Ramy nella targa del veicolo che non coincide con quello del primo speronamento.
C’è però anche un altro elemento, ossia la traiettoria dell’auto che stringe verso la curva e devia la corsa verso l’angolo della svolta, impedendo al motorino di svoltare verso destra, anzi indirizzandolo con il proprio cofano verso l’impatto con il muretto/palo.
Sembrerebbe quindi in atto una condotta finalizzata a interrompere la corsa, in quel momento molto sostenuta, della moto, costi quel che costi.
Interessante il confronto con una giurisprudenza recente per la qualifica di omicidio volontario, preterintenzionale o stradale di uno speronamento di una vespa da parte di una mini. Decisiva sarà la perizia sulla velocità delle vetture coinvolte in quanto ivi viene stabilita una presunzione di conoscenza dell’uomo medio di cagionare la morte, e non il semplice disarcionamento, con una collisione a 70 km/h. Interessante anche l’accenno nella sentenza alla capacità rappresentativa o volitiva connessa al dolo rispetto all’esito della morte, capacità sicuramente più accelerata in presenza di uno strumento univocamente associato all’idoneità del mezzo a causare l’evento. “Il processo di formazione del dolo è, invece, naturalisticamente più lento quando l’agente si serve di un mezzo atipico, come avviene nei casi della c.d. vendetta stradale, ovvero, dell’utilizzo di un autovettura come arma, atteso che il tamponamento non è di per sé, associabile, con immediatezza alla morte del soggetto tamponato“.
Con le opportune differenze rispetto al caso Ramy, a queste considerazioni bisognerà aggiungere anche la valutazione dello stress atipico e prolungato degli agenti, e la capacità di questo nell’offuscare la reattività e la capacità di giudizio.
La finalità di evitare una strage
Anche data per assodata questa condotta finale, la lettura non può compiersi in maniera avulsa dal contesto e da ciò che è avvenuto prima.
L’inseguimento, infatti, dura per 20 minuti e 8 chilometri, tempo e spazio in cui la moto ha avuto una condotta a dir poco pericolosa per l’incolumità di tutti.
Anche se l’operazione è avvenuta alle 3 di notte, la sera tra il sabato e la domenica sono molte le auto in uscita, specialmente di giovani. I tratti di strada, poi, sono anche centrali e il rischio di un impatto fatale con conducenti occasionali, era alto.
L’ingresso in strade contromano, manovre azzardate tra i veicoli e i marciapiedi hanno poi aumentato ancora di più il rischio di coinvolgere altri cittadini.
Rimane difficile stabilire le regole di ingaggio in questo caso, le circolari e i manuali in uso per le FF.OO. indicano criteri di massima, quali la valutazione dei rischi per la collettività e per i soggetti coinvolti nell’inseguimento, e la desistenza non ne è un esito vincolato, come non c’è alcuna esclusione a priori di qualsiasi contatto.
Dovrebbe tuttavia essere possibile contestare, in alcuni casi, un fattispecie criminosa più grave della semplice resistenza a pubblico ufficiale, peraltro non univocamente individuabile con la semplice fuga senza inseguimento. Questo si potrebbe prevedere quando si configura un rischio o un pericolo per l’incolumità generale, anche col superamento di una soglia temporale.
Questo permetterebbe agli operatori di intervenire legittimamente in maniera più decisa, non consentendo, allo stesso tempo, agli inseguiti di poter alzare la posta in palio aumentando esponenzialmente il rischio per sè e per gli altri, cercando così di provocare una desistenza forzata.
Al di là del caso specifico di Ramy Elgaml, tale previsione potrebbe rivelarsi una forma in più di deterrenza, senza peraltro porre gli operatori delle Forze dell’ordine al di sopra della legge.
Armando Mantuano avvocato