Viviamo in un’epoca in cui l’immagine è diventata moneta sociale. I social network ci offrono quotidianamente uno specchio digitale nel quale rifletterci o giudicarci, esempi positivi e risvolti negativi, come l’aumento del body shaming.
Si tratta di un fenomeno sociale presente da secoli che ha assunto forme diverse nel tempo a seconda delle epoche, culture e dei canali di comunicazione.
Già nell’antica Grecia e a Roma, i corpi maschili muscolosi e femminili proporzionati venivano celebrati come ideali di bellezza, l’estetica era legata a concetti filosofici di armonia e virtù.
Durante il Rinascimento, il grasso non era stigmatizzato, ma anzi, era segno di status. Con l’avvento della moda industriale si sono diffusi modelli estetici più rigidi. La magrezza comincia ad essere esaltata, soprattutto quella femminile.
L’amplificazione dei social media
In questo contesto, il body shaming, ovvero l’atto di deridere, criticare o discriminare qualcuno per il proprio aspetto fisico, si è trasformato in una delle piaghe più silenziose ma più invasive della società contemporanea. I social media hanno amplificato questo meccanismo, trasformando l’estetica in una gara continua.
Essi espongono le persone al confronto continuo con corpi idealizzati, spesso ritoccati digitalmente. Il body shaming esplode, soprattutto tra adolescenti e donne.
È presente a scuola, nei luoghi di lavoro, perfino tra amici e familiari. Si manifesta attraverso commenti apparentemente innocui ma, dietro ogni battuta, si nasconde un messaggio tossico: non sei abbastanza.
Le ricadute psicologiche
Il problema non è solo estetico. È psicologico, sociale, culturale. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 60% degli adolescenti italiani ha dichiarato di essere stato vittima di body shaming almeno una volta. Tra le ragazze, la percentuale sale al 73%. Le conseguenze sono drammatiche: calo dell’autostima, disturbi alimentari, depressione e, nei casi più estremi, tentativi di suicidio. Il corpo, da veicolo di libertà, diventa una prigione.
La responsabilità non è solo di chi critica, ma anche di chi ride, tace, normalizza.
In risposta, nascono movimenti per accettare il corpo com’è, senza standard imposti. Tuttavia, la tensione tra accettazione e pressione estetica resta alta.
Negli ultimi anni, si sono sviluppati movimenti come la body positivity, che promuove l’accettazione e la celebrazione di ogni corpo, e la body neutrality, che propone un approccio più distaccato e pragmatico: il corpo non è il centro del valore personale.
La lotta contro il body shaming è diventata una questione di giustizia sociale, salute mentale, diritti individuali, coinvolgendo scuola, media, aziende e istituzioni.
I percorsi educativi
Alcune scuole italiane stanno introducendo percorsi educativi contro il bullismo, l’odio online e il body shaming, soprattutto grazie alla legge sul cyberbullismo.
Anche i media e le aziende stanno iniziando a fare la loro parte. Campagne pubblicitarie più inclusive, riviste che mostrano corpi reali, marchi di moda che ampliano le taglie disponibili.
Paradossale è come, in un mondo come il nostro, con l’evoluzione della tecnologia, del pensiero e delle leggi, il corpo sia visto come un errore che bisogna correggere e controllare.
È ora che evolva anche il modo in cui guardiamo un corpo. Contrastare il body shaming non significa solo punire chi insulta, ma trasformare la cultura del giudizio in una cultura del rispetto. Questo implica ridefinire cosa intendiamo per bellezza, accogliere la diversità, e abbandonare l’idea che il corpo sia qualcosa da conformare agli standard, piuttosto che da abitare con libertà e dignità.
Maria Facendola