La sentenza della Corte di Cassazione n. 9216/2025 che ripristina la dicitura «Genitori» nei documenti invece di «Madre e Padre» completa lo stravolgimento dell’impianto costituzionalmente orientato della Legge sulle adozioni iniziato dalla Corte Costituzionale con la sentenza la n.33 del 2025.
L’odierna cancellazione del Decreto emanato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini il 31 gennaio 2019 deve essere infatti inteso come una diretta conseguenza del pronunciamento della Suprema Corte.
Una sentenza obbligata
Si deve precisare subito che le pronunce sull’adozione del partener della coppia dello stesso sesso hanno costituito un piano inclinato che non poteva portare ad altro esito in quanto il riconoscimento pieno dell’adozione avvenuta secondo le disposizioni del comma 1 lett. d dell’art. 44 della relativa legge, comporta lo status unico di figlio della persona legittimata.
In base a ciò tale legame deve avere adeguata rappresentazione nella Carta d’Identità. La questione poteva essere semmai se la declinazione Padre Madre potesse assolvere allo scopo. Ebbene, questa sentenza ha individuato un limite in questa dicitura nel particolare caso esaminato, considerando addirittura come questo potesse portare al mancato rilascio del documento valido per l’espatrio.
Il risultato sarebbe quindi la disapplicazione del regolamento al caso in esame (quindi non automaticamente per casi analoghi).
Questo si potrebbe evincere dal semplice rigetto del ricorso, che valorizza quindi la decisone di merito (dovrebbe essere stata individuata qui la sentenza di primo grado), nonostante alcuni pareri e il generale taglio delle notizie riportino il contrario, valorizzando il semplice ricorso alla Corte di legittimità.
La questione si pone quindi a monte di una sentenza che comunque produce un orientamento capace di portare anche a una più generalizzata omogeneizzazione del rilascio della Carta d’Identità Elettronica (Cie).
L’adozione dei single
L’adozione in casi particolari permetteva già la possibilità, in determinate condizioni, di accedere all’istituto anche alle coppie non sposate.
Le coppie omogenitoriali che attraverso la fecondazione eterologa o l’utero in affitto procreavano un bimbo, acquistavano la filiazione per il genitore non biologico (cosiddetto d’intenzione) attraverso l’applicazione estensiva di questo istituto previsto nello specifico dalla Legge 184/1983 art. 44 comma 1, lett. d).
La sentenza n.33 di quest’anno rappresenta però una novità dirompente capace di scardinare in toto l’impianto normativo pensato per la tutela dei minori vulnerabili in stato di abbandono.
Infatti, il luogo di accoglienza di questi minori veniva conformato il più possibile all’impianto familiare, proprio nell’ottica della unicità dello status di figlio e del principio (fondante del Diritto di Famiglia) della bigenitorialità.
Le eccezioni riguardavano situazioni comunque sottoposte ad una disciplina specifica in cui era prevista anche un’ipotesi di revoca.
Nella nuova sentenza si fa riferimento esplicitamente ad una pronuncia precedente (C. Cost. 183/1994) che riporta questo principio: «I principi costituzionali richiamati nell’ordinanza di rimessione non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae in guisa da non consentire l’adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983.
Essi esprimono una indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, essendo prioritaria ‘l’esigenza, da un lato, di inserire il minore in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità, e dall’altro di assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori’».
Particolare non secondario, questa pronuncia considera non fondata la questione di legittimità in quanto spetterebbe comunque al legislatore di riformare l’istituto, con un impianto normativo non più fondato sull’imitatio naturae.
Gli effetti delle pronunce delle due Corti
Invece la nuova sentenza, seconda la ormai abusata prassi innovativa, contraddicendo l’orientamento precedente (seppur facendo riferimento ad altri articoli), finisce per stabilire nuovi parametri all’adozione, in quanto: «Questo tanto più va ribadito, ove si consideri che anche il modello della famiglia monoparentale trova riconoscimento nella Costituzione».
Peraltro, il presunto rispetto della vita privata e familiare (art. 8 del Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) invocato, in definitiva, a tutela degli adottanti, che presupporre un intervento minimo del legislatore riguardo l’autodeterminazione, presupporrebbe che la genitorialità di adozione, essenzialmente da riconoscere giudizialmente, sia equiparabile a quella naturale, un controsenso.
Quindi, mentre la forma familiare viene plasmata dagli interventi giurisdizionali, questo intervento di autorità viene fatto coincidere con la vita privata e familiare coinvolgendo in ciò, l’interesse del minore, che diventa recessivo.
Infatti, il suo richiamo è meramente strumentale all’autodeterminazione dell’adottante, dovendosi al contrario stabilire se ed in quale misura, l’esclusione dei single, pregiudichi l’adottabilità di minori abbandonati, a fronte della nota statistica italiana che vede tre coppie di adottanti per un’adozione a buon fine. Una valutazione che, comunque, si attaglia al legislatore.
La prossima questione sarà l’estensione ai single anche dell’adozione nazionale e la questione di legittimità riguardante coppie di fatto o legate da unioni civili.
Inutile evidenziare ciò che anche i primi commenti certificano: dopo queste sentenze è dato per scontato che la famiglia, come la genitorialità (e, per alcuni, anche il sesso) siano una «costruzione sociale», con ciò elidendo la famiglia costituzionale (art. 29 della Costituzione), ossia quella naturale, a torto definita «tradizionale», riconosciuta e non formata dallo Stato , peraltro, in questo caso, attraverso pronunce giudiziali.
La violazione è così lampante che viene esplicitamente affermato che la bigenitorialità, principio cardine del diritto di famiglia attuale, non solo possa coincidere con la duplicazione di un genitore, ma, addirittura (misteri della matematica e della logica woke), dal «genitore» singolo.
In questa visione, il figlio risulta più un prolungamento della persona che lo acquisisce, una sua amplificazione, una sorta di mini rappresentazione di sé stessi.
In passato, altri articoli avevano affrontato la stepchild adoption abbozzando interventi normativi che prevedessero riconoscimenti di tutela, che anticipassero gli orientamenti innovativi delle Corti, anche con riguardo all’iscrizione nei registri dell’anagrafe.
Peraltro, è il caso di notare che la dicitura presente sugli attuali e passati documenti, rimasta invariata, ossia quel «e chi ne fa le veci», conferma l’omogeneità della protezione dei minori, senza stravolgere l’unicità e verità della formazione familiare, naturale perché rispondente a quei caratteri innati e insostituibili di complementarietà, nucleo fondante della socialità razionale dell’essere umano.
Si ripropongono (qui e qui) per una panoramica più completa, foriera di orientamenti e proposte, gli spunti delineati a suo tempo, anche se nel frattempo il piano si è fatto sempre più inclinato verso una riforma giudiziale del diritto di famiglia.
Armando Mantuano *avvocato