Il 25 aprile sobrio era solo un auspicio. È diventato lo spunto – il pretesto – per un vespaio. All’insegna, manco a dirlo, della retorica preferita dal Pd e dintorni: il Governo Meloni è fascistoide e l’unico baluardo rimasto è l’opposizione. Che si erge come l’erede, la custode, la paladina della Resistenza del tempo che fu.
Presa la palla al balzo, strillacchiano in parecchi. Da Bonelli a Fratoianni e a Magi. Da Beppe Sala a Landini. Da Nicola Zingaretti a Bersani. E compagnia cantante, essendo risaputo che da quelle parti il coro mediatico è nutrito (nutrito e ben ingrassato, a dire il vero).
Ma andiamo con ordine. All’origine non c’è niente di più che una breve dichiarazione del ministro della Protezione civile Nello Musumeci. Il quale, a margine di una riunione dell’Esecutivo, dice una cosa del tutto normale. O persino pleonastica.
In vista del 25 aprile, e a causa dei cinque giorni di lutto nazionale proclamati dal Governo per la morte di Papa Francesco, «tutte le cerimonie sono consentite, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone».
Neanche l’ombra di un divieto. Solo una semplice, elementare raccomandazione a tenere conto del fatto che quest’anno, per un intreccio del tutto fortuito di circostanze, l’anniversario della Liberazione arriva appunto alla vigilia dei funerali del Papa. Che peraltro, in questo o quel momento del suo pontificato, è stato salutato dalle forze di sinistra come una sorta di riferimento anche politico.
Una grancassa che non si ferma mai
Le citazioni possibili sarebbero tantissime. Ma limitiamoci a una sola. Quella con cui Massimo D’Alema, accanto a svariate altre considerazioni e sottolineature nella medesima direzione, ne sintetizza così la figura: «è stato senz’altro un progressista, nel senso più largo del termine».
Da vivo, insomma, poteva servire per tirare acqua al proprio mulino (e sorvoliamo, almeno per questa volta, sull’intrinseca contraddizione tra il razionalismo illuminista degli uni e il fideismo metafisico della Chiesa). Da morto, però, non deve interferire con il resto della propaganda.
Il lutto per la sua scomparsa si esprime e si archivia pressoché nello stesso istante. L’ossequio appare doveroso e perciò vi si ottempera, ma non essendo cordoglio autentico non porta con sé nessun turbamento interiore.
Morto un papa se ne fa un altro. E se i suoi funerali si svolgono il 26 aprile, amen.
Il giorno prima è il 25 aprile e la ricorrenza va comunque celebrata con tutta l’enfasi possibile e immaginabile. A corto di credibilità, dopo i decenni dell’appiattimento sul liberismo galoppante della globalizzazione e sui diktat della Commissione europea, tocca aggrapparsi ai miti del passato. Del passato remoto, più precisamente.
Nonni e bisnonni come paravento
La rivendicazione diventa quasi un’usurpazione. I tantissimi e decisivi fattori di allontanamento – su questioni sostanziali come l’assetto economico e tutto ciò che ne consegue sul piano dei comportamenti sociali, sia individuali sia collettivi – vengono minimizzati. Anzi, ignorati.
I nonni, o i bisnonni, servono da paravento. Statue da esibire e dietro le quali nascondersi. Ascendenti nobili per riscattare, a priori e a oltranza, le prassi spesso ignobili del governo e del sottogoverno.
Mossa numero uno: si inneggia agli avi, avvolgendoli di un’aura che trascende la sfera politica delle loro opinioni effettive e li colloca, perciò, in un empireo morale al di sopra di qualunque possibile contestazione.
Mossa numero due: ci si ammanta della loro autorevolezza. Così da nascondere, sotto quei panni da eroi sempiterni, le innumerevoli deviazioni dalle loro matrici e dai loro slanci.
Il vero obiettivo sono i privilegi del potere. Diretto e indiretto. Istituzionale ed economico. Culturale, o sedicente tale, e mediatico.
La foglia di fico sono i richiami alla democrazia, alla libertà, ai diritti civili. E via cianciando. Con l’antifascismo che non costa nulla e che torna sempre comodo. Per attaccare gli avversari e per assolvere sé stessi.
Un po’ si parte lancia in resta. Un po’ si cade dalle nuvole.
Il sindaco di Milano, Beppe Sala, si aggiunge agli indignati di turno e ironizza: «Non so cosa voglia dire esattamente ‘sobrio’. Bisognerebbe chiederlo al governo».
Ma no. Basterebbe tenere a mente un evento recentissimo come la manifestazione del 12 aprile scorso che si è svolta proprio a Milano.
Motivazione ufficiale, il sostegno alla Palestina. Scritta tracciata in vernice rossa sulla vetrina di una banca, «Spara a Giorgia».
Gerardo Valentini