ADOLESCENCE

Una serie tv
che ci spinge a riflettere

L’angosciosa e stimolante miniserie in quattro puntate «Adolescence» proposta da Netflix, affronta le odierne difficoltà dei genitori a comprendere e gestire i figli che crescono nell’era dei social network.

 

Adolescence, titolo di una nuova miniserie in quattro puntate proposta da Netflix, torna a porre in primo piano il controverso mondo dei giovani d’oggi.

I genitori di Jaime nella miniserie AdolescenceIdeata da Jack Thorne e Stephen Graham e diretta da Philip Barantini, Adolescence è frutto di un’attenta analisi dei fatti di cronaca che negli ultimi anni hanno interessato la scena globale e che sempre più vedono coinvolti i giovani in eventi spesso agghiaccianti.

La trama, suggestiva e angosciante al tempo stesso, racconta l’arresto di un ragazzino di 13 anni di nome Jamie, accusato dell’assassinio di una sua compagna di classe, Katie.

La famiglia di Jamie, semplice e di buoni principi, appare da subito sorpresa e sconvolta dal gesto che presumibilmente è imputato al ragazzo, a detta loro pacato, tranquillo, e con ottimi voti scolastici.

Il ragazzino, interrogato nella stazione di polizia durante l’arco delle quattro puntate e si dimostra particolarmente arguto e capace di comprendere domande complesse, ma con un’insolita, celata, latente aggressività.

Attraverso la narrazione, Adolescence invita a una riflessione profonda e a una maggiore consapevolezza, soprattutto da parte dei genitori. Anche figure adulte e responsabili, come il padre di Jamie – un instancabile lavoratore dal vivere semplice – si trovano a dover affrontare un cambiamento generazionale senza precedenti. Ignorarlo, liquidandolo con frasi nostalgiche come «ai miei tempi», significa non cogliere la portata della trasformazione in atto.

Perché oggi la realtà adolescenziale è radicalmente diversa. I giovani vivono e affrontano le esperienze in modo nuovo, spesso accentuando il divario generazionale. Tuttavia, le loro modalità di risposta al mondo che li circonda non nascono dal nulla perché sono solo il frutto di ciò che è stato loro insegnato.

La serie tv, tanto snervante quanto coinvolgente, pone quindi attenzione su due temi di grande rilevanza, spesso dibattuti ma ancora poco compresi: da un lato, il potere dei social network; dall’altro, la crescente difficoltà nel gestire le pressioni sociali.

L’invasivo ruolo dei social network

Paolo Crepet, psichiatra di fama internazionale, da anni esprime da anni il suo dissenso sulle pratiche educative moderne, con particolare attenzione all’utilizzo degli smartphone.

Secondo l’esperto, l’uso di questi dispositivi ha non solo un impatto negativo sull’apprendimento, ma provoca anche un cambiamento antropologico che modifica le dinamiche sociali.

Questo è particolarmente rilevante considerando che bambini e adolescenti sono in una fase di costruzione della propria personalità, così come il cervello, che è ancora in crescita e sviluppo, rendendoli quindi particolarmente vulnerabili e influenzabili.

In particolar modo il cervello degli adolescenti è strutturato in modo diverso rispetto a quello degli adulti: l’amigdala, la regione cerebrale associata alle emozioni e alla ricerca di sensazioni forti, è particolarmente attiva, mentre la corteccia prefrontale, che si occupa della pianificazione e dell’analisi delle conseguenze delle nostre azioni, è ancora in fase di sviluppo.

Qualunque bambino o adolescente, anche il più pacato o responsabile, è dunque potenzialmente a rischio, come si evidenzia nella serie Adolescence, dove vengono esplorate le difficoltà e le sfide proprie di questa fase della vita.

I social, pur essendo un’innovazione sensazionale e un punto di svolta nella tecnologia, capaci di ridurre le distanze geografiche e di fornire informazioni in tempi rapidi, rappresentano anche uno strumento che, se non utilizzato correttamente, può avere effetti negativi.

L’importanza dell’educazione

Risulta spontaneo allora domandarci se stiamo educando bene i nostri figli. Non sono soltanto i giovani ad essere cambiati, ma anche i genitori e gli stili educativi.

A dominare la scena delle moderne pratiche educative dovrebbe esserci la responsabilità emotiva dei genitori che, tuttavia, non riescono più a vedersi come figure guida, di riferimento emotivo e psicologico, ma si pongono spesso solo su un piano «amicale» nei confronti dei propri figli.

Tale atteggiamento spesso sfocia in un estremo (ed inutile) permissivismo, alimentato proprio da tale senso di inadeguatezza, ovvero un vero e proprio senso di colpa.

Oggi, il «No» è spesso visto in modo negativo, quasi come una punizione o una privazione che i genitori non vogliono infliggere ai propri figli. Non viene più percepito come un mezzo per insegnare l’importanza dei limiti, dei confini e per aiutare i bambini a gestire le piccole frustrazioni della vita, favorendo l’autoregolazione.

Il divario tra famiglie eccessivamente permissive e quelle, altrettanto, distratte dalla frenesia quotidiana, evidenzia una disconnessione critica rispetto alle tappe di sviluppo fondamentali dei propri figli e al contesto storico in cui siamo immersi.

Tornare a fare i genitori

Gli esperti lanciano un monito chiaro e urgente: non c’è più tempo per rimandare. È essenziale che i genitori e la società nel suo complesso prendano consapevolezza della necessità di un impegno educativo attivo, per guidare le nuove generazioni con un equilibrio tra libertà, limiti e valori, affrontando le sfide contemporanee con responsabilità e preparazione.

Con una più sana gestione delle difficoltà, dei «No», delle frustrazioni e delle pressioni esterne, è fondamentale insegnare ai giovani l’utilizzo consapevole dei social, aiutandoli a distinguere tra la vita reale e ciò che viene diffuso sulle piattaforme.

La serie televisiva dunque rappresenta, nel suo realismo, una possibile apertura ad una riflessione sul tema, collettiva data la diffusione del mezzo televisivo, ma nello stesso tempo anche a livello familiare, circoscritto al proprio nucleo, proprio perché, se colta, potrebbe stimolare una sana autocritica da parte dei genitori sulla validità del modello educativo adottato.

Correggere l’approccio è possibile, cercare di migliorare è doveroso.

Alessia Giannatempo psicologa

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