di Adriano Minardi Ruspi
Alla 76esima Fiera Internazionale del Libro di Francoforte che si è conclusa il 20 ottobre 2024, l’Italia è stata Ospite d’Onore. Non succedeva dal 1988, anno in cui venne inaugurato ufficialmente l’attuale format che, all’interno del programma, assegna un posto speciale a un Paese o a una regione linguistica.
La presenza italiana, coordinata dal giornalista e scrittore Mauro Mazza, con il padiglione realizzato da Stefano Boeri, ha offerto un’immagine della cultura come luogo d’incontro tra tradizione e modernità e di confronto tra molteplici sensibilità, sintetizzate dal motto «Radici nel futuro».
Al successo di pubblico e addetti ai lavori della partecipazione italiana alla Buchmesse hanno invano tentato di fare da contraltare le lamentazioni di Roberto Saviano e Antonio Scurati appoggiate da un documento firmato da un collettivo di una quarantina di scrittori.
Una parodia della resistenza
Sì, la resistenza continua, non ha mai smesso di essere viva e di prosperare in Italia. Intendiamoci però, non certamente quella terminata con le «radiose giornate» dell’aprile 1945, con tutte le sue luci e le sue ombre ma, comunque, combattuta contro un nemico dichiarato e soprattutto presente.
Quella è finita ma questa che continua è la sua versione parodistica, contro i fantasmi, contro un nemico che non c’è più perché storicamente sconfitto e non più esistente nella società, se non sotto forma di sterile risentimento, gonfio di qualche flebile nostalgia ma sempre più confinato in ambiti ristretti di popolazione, privo di qualunque rilevanza elettorale tale da ipotizzare o anche solo di sperare in una impossibile rivincita.
Tutto questo appartiene al passato, il fascismo non rappresenta più da anni un pericolo per la democrazia italiana né dal punto di vista politico né dal punto di vista culturale.
Quella che continua dunque è una resistenza unilaterale contro il fantasma di un nemico che non c’è ma che deve continuare a esserci perché rappresenta l’ultimo fattore identitario, l’ultimo collante ideologico di una sinistra che si aggrappa ai miti del 900 perché non più in grado di leggere le trasformazioni della società.
Il vittimismo della sinistra
Una sinistra non più socialista, non più marxista, neanche in grado di formulare un’interpretazione di classe delle dinamiche sociali perché agganciata ormai da anni al treno del liberismo economico temperato da qualche spruzzatina di statalismo, in una versione «de noantri» di un modello socialdemocratico che, in realtà, oltre alla pretesa dell’intervento dello Stato nell’economia non sa andare.
Questa resistenza continua in tutti gli ambiti comunicativi, ma soprattutto in ambito culturale con una modalità allarmistica, urlata, che si è fatta sempre più pressante, ovviamente, da quando la destra politica è approdata al governo del Paese.
Una destra, peraltro, che ha attraversato il dopoguerra in un viaggio che gli ha permesso, lentamente ma sistematicamente, di recidere le (poche) radici che ancora la legavano al neofascismo e, quindi, contro questa destra a maggior ragione tutti gli argomenti sono consentiti e possibili a partire dalla demonizzazione preventiva fondata sul passato non rimosso.
Sul torcicollo compulsivo e l’ancoraggio al passato negli ultimi due anni si sono costruite o, meglio ancora, consolidate carriere giornalistiche e non.
La nascita dell’intellettuale piagnone
Ormai abbiamo un ricco catalogo di autori che dai social e attraverso case editrici in sintonia e compiacenti (ma soprattutto attraverso i social) veicolano un messaggio di allarme sociale e, per ciò solo, contribuiscono ad alzare il clima di una lotta politica che ha già visto pericolosi picchi di ritorno alle forme di odio e intolleranza che avevamo già tristemente conosciuto negli anni 70.
La «resistenza» alla belva montante continua anche in ambiti intellettuali più alti (o perlomeno presunti tali…) dove, alla scomparsa della figura dell’intellettuale militante organico al partito o alla visione del mondo, abbiamo assistito alla comparsa dell’intellettuale piagnone, che lamenta la continua esclusione da ambiti di partecipazione civile e culturale in cui aveva dominato fino al giorno prima, di cui era stato incontrastato padrone, in cui aveva, esso solo, il diritto di parola.
Tutta questa realtà di predominio, di presenza unilaterale ed oppressiva con una lettura a senso unico della storia, con il governo della destra viene ora ribaltata nel suo opposto di esclusione arbitraria per la presunta occupazione degli spazi da parte di una destra onnivora e desiderosa di vendette postume.
Le lamentele per Francoforte
L’ultima occasione in cui si è manifestata questa forma di «resistenza attiva» è stata il padiglione italiano alla recente fiera del libro di Francoforte, organizzato da un governo presunto liberticida, ancorché evidentemente legittimato dal voto popolare, che non avrebbe consentito la partecipazione di alcuni autori vittime di un tentativo di repressione della cultura e del libero dissenso.
Peccato tuttavia che questi intellettuali, i soliti noti con l’aggiunta di qualche new entry desiderosa di visibilità da martirio, continuino però a partecipare a tutte le manifestazioni continuando ad avere piena, totale, assoluta e pressoché unica visibilità all’interno del circuito massmediale italiano e tutto questo in assoluta assenza di qualunque forma di contraddittorio.
Praticamente il loro è un dissenso che non tollera discussione, è un dissenso che si manifesta soltanto attraverso anatemi e scomuniche, non tralasciando spesso anche l’uso dell’insulto pesante.
Il successo grazie a M
Il caso più evidente, a parte quello ormai storico di Roberto Saviano, è rappresentato da quell’Antonio Scurati che, come noto, deve la sua notorietà — ancorché scrittore d’indiscutibile talento — alla biografia romanzata di Mussolini che gli ha consentito non solo la vittoria a suo tempo nel premio Strega ma anche una visibilità internazionale sicuramente maggiore rispetto a quella che gli avevano assicurato i suoi i suoi libri precedenti.
Ora quella biografia romanzata, quel tentativo di restituire la storia appunto dell’Uomo del secolo (così come veniva definito Mussolini nel primo tomo dell’opera) ha subito nel corso di questi anni una pericolosa deriva perché al tentativo di comprendere si è poi sovrapposta la volontà di affermarne la sola radice malvagia e maligna in un progressivo passaggio ad una narrazione tutta tesa a restituire al grande pubblico ed a consacrare una moderna visione antifascista di Mussolini.
Antifascismo narrativo 2.0
Il fine ultimo e nobile dell’opera di Antonio Scurati, arrivati al quarto tomo, è ora diventato il punto di vista di un antifascista sulla vita di Mussolini passando quindi come correttamente rilevato da Marcello Veneziani, dalla biografia del Duce del fascismo ad una sorta di biofobia di Mussolini stesso.
In questo contesto, l’indubbio successo del suo romanzo testimonia non soltanto, per quanto ovvio la sua capacità narrativa, ma anche di converso finisce con alimentare il perdurante interesse che nella società italiana c’è ancora intorno alla figura di Mussolini.
Il fondatore del fascismo continua a far vendere chi si interessa a lui e alle vicende del Ventennio, in un alternarsi di pubblicazioni che paradossalmente finiscono anche per alimentare un processo opposto di santificazione per ripicca.
Tutto questo, però, non ha comportato la volontà dell’autore di aprirsi al dialogo perché tutti gli interventi di Scurati nel circuito massmediale si sono risolti in una continua e lunga serie di monologhi (prima e dopo la triste vicenda del suo mancato intervento alla trasmissione di Serena Bortone qualche mese fa) senza mai aver accettato o ricercato nessuna forma di contraddittorio o di dibattito.
Soltanto proclami, verità unilaterali e precostituite assumendo un ruolo di moderno «Vate» della cultura e simbolo della coscienza antifascista del paese.
Ecco allora che, in occasione di quest’ultima edizione della Fiera del libro di Francoforte la presenza non ufficiale di Scurati, che comunque non ha mancato di presenziare per la promozione del suo libro, ha finito per rappresentare solo una sorta di controcanto del governo e dell’organizzazione, con la consueta autorappresentazione dell’autore come vittima della censura.
La fuga dal contraddittorio
Bene ha fatto Alessandro Campi — studioso e storico del fascismo e dei populismi prima che commentatore politico — a stigmatizzare quanto avvenuto dichiarando con grande semplicità e senza alcun timore reverenziale verso il «guru» il suo desiderio di discutere confrontarsi con Scurati sui temi toccati da quest’ultimo nei suoi libri, dal fascismo al populismo e al sovranismo.
Scurati si è sempre rifiutato di farlo non solo con Alessandro Campi, magari forse, aggiungiamo noi con un po’ di malizia, temendone il diverso spessore intellettuale dal punto di vista della conoscenza storico politica, ma con chiunque e proprio questo s’intende rimarcare.
Senza contraddittorio non c’è dialogo, c’è solo monologo e non solo la cultura, ma anche la coscienza e la consapevolezza civile del paese, in questo modo, non possono certo crescere, anche accettando e dando per buona la presunta volontà pedagogica manifestata da Scurati.
Tutto questo mai dimenticando che tutte le tesi espresse hanno pari diritto di cittadinanza nel dibattito culturale di un paese libero, perché tutte da argomentare e tutte da confutare senza pregiudizio o volontà di censura.
Oggi in Italia sembrano fronteggiarsi due scuole di pensiero, o comunque due modalità di affrontare i temi di carattere culturale, soprattutto quelli che afferiscono alla formazione della coscienza civile.
La prima è quella di chi, peraltro neanche riconoscendosi nella politica culturale della destra di governo, cerca comunque di riannodare i fili del dialogo e del confronto culturale mentre sull’altro versante ritornano i pregiudizi di sempre, con la maliziosa volontà di lucrare su una rendita di posizione passata e contemporaneamente di elevarsi al rango di martiri, però non attaccati da nessuno e con piena, totale e assoluta cittadinanza nei circuiti mass mediali.
Questo probabilmente ci illumina sullo stato della cultura in Italia, soprattutto di quella che ha prodotto un’interpretazione monocorde della storia e della cultura.
Quanto poi la coscienza civile possa crescere in un quadro dominato dal conformismo di larga parte degli stessi «chierici» della cultura, è palesemente dimostrato.
Adriano Minardi Ruspi