Okay, okay: non sono solo quelli del Pd e non se la prendono solo con Mercante in fiera, ma lì è più facile accanirsi perché a condurlo è Pino Insegno. La cui vicinanza a Giorgia Meloni lo rende il bersaglio ideale.
Come se la premier lo avesse tirato fuori dal nulla. Come se lui non fosse, innanzitutto come doppiatore ma anche come attore e presentatore tv, un professionista di lunghissimo corso.
A finire nel mirino delle sinistre orfane del controllo della Rai ci sono pure altre trasmissioni. Da Liberi tutti! di Bianca Guaccero (che intanto è già stata chiusa) ad Avanti popolo di Nunzia De Girolamo e a Fake Show di Max Giusti.
Poiché i dati degli spettatori raccolti sono modesti, o modestissimi, il variegato mondo dell’opposizione ci si butta a pesce, sventolando le cifre come prove inoppugnabili.
Di cosa? Dell’inadeguatezza del Governo. Siccome quei programmi rientrano nel nuovo palinsesto, approntato dai dirigenti messi lì dalla coalizione di centrodestra, se ne deve concludere che il problema non è soltanto televisivo.
Ma non è solo una questione di share
Eh no: è generale. Parafrasando il Marchese del Grillo, «se mi fallisci su questo, mi fallisci su tutto-. Chi guida male la Rai guida male il Paese. Oggi vi punisce lo share, domani (o dopodomani) si spera che vi puniranno le urne.
Il teorema è quello che è, non esattamente un capolavoro di logica, e le speranze non appaiono proprio fondatissime, a giudicare dall’esito delle elezioni locali che si sono svolte nel frattempo.
Randellate a gogò pressoché ovunque, per il Pd e il M5S. A conferma del fatto che parecchi milioni di cittadini sono ancora in grado di distinguere tra programmazione televisiva e programmi di governo.
La tv, di Stato o privata che sia, si può evitare di vederla.
Le scelte dell’esecutivo, e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, te le devi sorbire per forza, direttamente o indirettamente. Che ti piacciano o no. E per un’intera legislatura, salvo che Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica si decida a sciogliere le Camere in anticipo. Senza optare, invece, per il supertecnico di turno.
Il «telecomando» te lo restituiscono solo ogni cinque anni. Ma non è nemmeno detto che basti, a decidere davvero.
Servizio pubblico ed emittenti commerciali
Poteva e doveva essere un punto di forza della Rai, il suo non essere solo un editore a scopi di profitto. Venendo sollevata, quindi, dalla necessità inderogabile di accumulare introiti per finanziarsi.
Il vizio d’origine, invece, è che dopo il venir meno del monopolio si è dato il via a una concorrenza sfrenata con le emittenti commerciali, a cominciare da Mediaset. Anziché concentrarsi su ciò che gli altri non sapevano o non volevano fare, a causa della loro natura prettamente imprenditoriale, ci si è fatti risucchiare nella logica della competizione sullo stesso terreno.
Per quale motivo? Perché la Rai è controllata da sempre dai partiti di maggior peso, che l’hanno usata costantemente come strumento di propaganda e di potere.
In parte per veicolare i propri messaggi sia espliciti sia impliciti: un po’ vetrina e un po’ megafono, dove i personaggi e i contenuti sono palesemente politici, e un po’ suggeritore semi occulto, quando i messaggi si mescolano alle emozioni di uno show o di una fiction.
Sull’altro versante, quello del potere, per intessere una vastissima rete di scambi di favori: uno sterminato «do ut des» per cui i capitali a disposizione vengono utilizzati per agevolare alcuni a scapito di altri, ottenendone in cambio le più diverse contropartite.
I programmi «di successo»
Molti anni fa, quando era ai vertici proprio di Mediaset, Giorgio Gori lo ammise con sorprendente chiarezza. «Noi – disse – vendiamo spettatori alla pubblicità».
Nel caso della Rai la frase va completata. Si vendono spettatori alla pubblicità e allo stesso tempo si regalano, a spese dei contribuenti, spettatori alla politica. O meglio: ai capi e capetti di riferimento.
La rilevanza dello share non è legata solo ai ricavi degli spot, ma alla funzione di traino di certi programmi a vantaggio di altri: lo spettacolo che fa da esca e mette insieme una platea che resterà sintonizzata, pronta ad assorbire anche la razione successiva. A partire dai Tg.
È questo, il vero cancro da estirpare. Così da poter riformulare il problema: a cosa debba servire l’emittente di Stato, nell’Italia di oggi e nel contesto di un’offerta mediatica in cui i canali online si sono moltiplicati a dismisura.
Segnando, in aggiunta alle differenze di prodotto, il passaggio dalla messa in onda a orari vincolanti allo streaming «on demand», ossia a disposizione degli utenti in qualsiasi momento.
Non basta che la Rai sia anche Servizio Pubblico. Bisogna che lo sia in modo preponderante e pressoché assoluto.
Lasciando perdere, una volta per sempre, Mercante in fiera e ogni sorta di analoghe sciocchezze.
Gerardo Valentini