ANTONIO PADELLARO

Antifascisti immaginari
(ed ipocriti)

Con il saggio «Antifascisti immaginari» Antonio Padellaro denuncia la riduzione dell’antifascismo da valore fondante della democrazia repubblicana a spettacolo di massa popolato da «maschere su misura». Nella foto Antonio Scurati

 

di Adriano Minardi Ruspi

Il nuovo libro di Antonio Padellaro Antifascisti immaginari, pubblicato alla vigilia dell’ottantesimo Anniversario della Liberazione, rappresenta una provocazione intellettuale. Contrastando la ritualità antifascista del momento è un vero e proprio sasso nello stagno nel panorama editoriale italiano.

L’autore è un giornalista e saggista noto per il suo stile distintivo, caratterizzato da un’accurata osservazione della realtà, inclusa quella meno evidente. È stato sempre disponibile, peraltro, ad accogliere idee scomode e controcorrente dimostrando sempre un’apertura intellettuale non comune.

La sua è dunque una provocazione vera e propria ― sia pur benevola ― che mira a rimuovere dal 25 Aprile tutte le incrostazioni mitologiche e rituali che l’hanno sin qui caratterizzato.

Il cuore del libro è rappresentato dalla critica di quell’antifascismo di maniera ormai appannaggio della sinistra politica italiana da diversi anni, rappresentato e incarnato dal ruolo assunto da alcuni intellettuali e «pensatori» che alimentano in prima persona il culto acritico e solipsistico della resistenza.

Antonio Padellaro, appartenente a buon diritto alla sinistra giornalistica e culturale italiana, presenta una critica rivolta alla ritualità osservata nella celebrazione degli antifascisti. La denuncia sottolinea la discrepanza tra il ricordo della realtà storica degli antifascisti e le attuali rappresentazioni simboliche.

Cordero Lanza di Montezemolo

L’incipit del libro descrive la visita dell’autore al carcere di via Tasso, ora Museo storico della liberazione, nel quale era stato rinchiuso fra gli altri il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, una figura chiave dell’antifascismo monarchico ucciso alle Fosse Ardeatine.

Il colonnello Montezemolo è ricordato da Padellaro per la sua integrità morale e per la sua ferma determinazione nel condurre una resistenza contro i tedeschi focalizzata sulla liberazione dell’Italia, senza considerazioni ideologiche.

La resistenza di orientamento patriottico e monarchico, tipica degli ambienti militari, si distinse per il sacrificio individuale e conseguì anche importanti, seppur limitati, successi militari. Creò una rete di supporto riconosciuta dal generale Alexander e utile alle truppe anglo-americane.

Un personaggio da contrapporre alle figure di antifascisti immaginari nate e alimentate dalla riduzione della celebrazione del 25 Aprile a vero e proprio circo mediatico, in cui prosperano in vario modo e a vario titolo intellettuali, giornalisti e scrittori, tutti accomunati dal ruolo di vittime immaginarie di censure e limitazioni della libertà di espressione, del cattivissimo e «para fascista» governo di destra.

L’omissione del ricordo di alcune delle più importanti figure che l’hanno caratterizzata, come il colonnello Montezemolo, secondo l’autore va di pari passo con la ricostruzione dei passaggi, nel dopoguerra, con cui uno dei valori fondanti della Repubblica democratica, appunto nata dalla resistenza, abbia poi generato quello che Padellaro definisce un baraccone vero e proprio, popolato da maschere su misura.

La riduzione della ricorrenza a spettacolo

La fornaia di Ascoli Piceno che ha approfittato della ricorrenza del 25 Aprile per fare pubblicità gratuita al suo negozio.Come nasce il fenomeno ― sostiene l’autore di Antifascisti immaginari ― lo aveva già spiegato Guy Debord nel secolo scorso, parlando della società dello spettacolo quando scriveva che «tutta la vita delle società in cui dominano le moderne condizioni di produzione si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era stato direttamente vissuto nel tempo si allontana e determina una vera e propria rappresentazione».

Una rappresentazione scenica e teatrale in cui non vengono più esaltati o ricordati appunto i valori fondanti, unitamente agli uomini che hanno determinato quei passaggi, ma puramente simbolica e tutta strutturata sull’istillare la paura (che spesso poi tende a tracimare nell’odio, aggiungiamo noi…) che quel passato, quel periodo di oppressione della libertà, possa ritornare.

È una denuncia forte e accorata quella di Padellaro, che nasce dall’indignazione di chi non ritiene accettabile quest’uso che definisce volutamente finto, immaginario e ipocrita, di quello che è, a torto o a ragione. un valore fondante della nostra democrazia.

In questo senso è molto forte la denuncia dell’uso strumentale e politico che ormai da anni (a cominciare dal 1994, quando un variopinto schieramento di centrodestra arriva con Silvio Berlusconi alla guida del paese) ha subito la ricorrenza del 25 Aprile, attraverso lo stravolgimento del suo significato e del contesto storico politico trasformato in arma politica nei confronti dei governanti del momento.

Ovvio quindi che una denuncia così forte, documentata e accorata, proprio perché proveniente da un uomo, da un professionista, parte integrante della sinistra giornalistica e culturale del paese abbia prodotto risultati esattamente opposti.

Già partita la demonizzazione

È già partita nei confronti dell’autore di Antifascisti immaginari la demonizzazione da parte di quelli che avrebbero dovuto in realtà essere i destinatari dell’invettiva, cioè tutto il mondo rappresentato dalle vestali della memoria antifascista, un mondo che va dalla sinistra politica all’Anpi con tutto il corollario di complemento.

In questo senso il destino di Antonio Padellaro sarà purtroppo simile – compreso il ricorso alla denigrazione personale raccontando parentele scomode come anche capitato ad Alessandro Sallusti ― a quello che venne già a suo tempo riservato a Giampaolo Pansa dal momento in cui nel 2003 venne pubblicato Il sangue dei vinti, primo di una lunga e fortunata serie di libri che colmavano una lacuna, ma soprattutto arricchivano la memoria storica della guerra civile italiana proponendo al grande pubblico la storia ed il punto di vista dei vinti.

Ciò in qualche modo dimostrando anche che era possibile in uno Stato democratico e per un giornalista di sinistra, porre l’attenzione anche sugli aspetti controversi di una pagina della nostra storia nazionale come quella rappresentata dalla resistenza.

Questo ci sembra francamente uno dei punti alti del libro di Antonio Padellaro, la rivendicazione di un significato «alto» del vituperato termine revisionismo perché, come afferma l’autore, essere revisionisti significa battersi contro il virus che uccide la verità.

Perché quando una vicenda politica non viene raccontata per intero, l’unico risultato che si produce è quello di una «storia mutilata, uno spettacolo dell’orrore. In una società democratica, nata dalla vittoria contro una dittatura, imbavagliare chi ha perso significa contraddire un principio che tutti dovremmo aver caro: la superiorità del sistema liberale rispetto a qualunque regime autoritario, nero, rosso o grigio che sia».

Parole che chiunque rispetti la memoria storica oggettiva e condivisibile potrebbe accogliere.

Un invito alla riflessione

Con Antifascisti immaginari Antonio Padellaro non si limita a evidenziare l’ipocrisia dell’antifascismo di maniera, ma invita anche a una riflessione più profonda sull’eredità culturale della Resistenza e sul suo ruolo nella costruzione della memoria collettiva.

La sua analisi, pungente e rigorosa, si intreccia con un richiamo alla necessità di riscoprire i valori autentici della lotta di liberazione, svincolandoli dalle distorsioni imposte dalla strumentalizzazione politica e dal circo mediatico.

L’autore non perde occasione per interrogarsi su come tali valori possano essere preservati e trasmessi alle future generazioni ― in un contesto sempre più dominato da narrazioni semplificate e spettacolarizzate ― e suggerisce che solo attraverso una presa di coscienza, capace di superare le retoriche vuote e di riconnettersi al significato originario di quella stagione storica, si potrà evitare che il ricordo della Resistenza si trasformi definitivamente in una caricatura o, peggio, in un mero strumento di conflitto ideologico.

Il libro, dunque, diventa un appello alla responsabilità individuale e collettiva, alla necessità di salvaguardare le radici di una democrazia che spesso rischia di perdere il contatto con i principi fondamentali che l’hanno originata.

Adriano Minardi Ruspi

 

 

Antonio Padellaro, Antifascisti immaginari, PaperFirst

 

Antonio Padellaro
Antifascisti immaginari
PaperFirst, pp.96

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