di Adriano Minardi Ruspi
Domani sarà tardi è il romanzo che il giornalista e scrittore Luigi Contu dedica al pro zio omonimo, un alto funzionario del ministero dell’Agricoltura nel governo della Repubblica Sociale Italiana.
Luigi è uno dei tanti fascisti che subito dopo l’otto settembre 1943 hanno aderito alla Repubblica Sociale in nome della continuità del fascismo e per un moto di ribellione al tradimento di Badoglio e della monarchia con la conseguente caduta del regime.
È un fascista navigato della prima ora, ha partecipato alla marcia su Roma ed ha ricoperto diversi ruoli apicali, soprattutto sindacali. È un convinto fascista di sinistra, appartenente a quella corrente che vedeva nel fascismo una radicale rivoluzione alternativa al liberal capitalismo, non solo al comunismo.
Proprio in nome di questa continuità di fede — la fede di una vita — Luigi Contu lascia Roma, la vicinanza dei suoi cari e quella di un amore profondo per una donna, e va al Nord.
Viene inviato in un paesino della provincia di Bergamo a dirigere un ufficio amministrativo, dove esercita il suo ruolo di funzionario ministeriale con senso di sacrificio e grande rettitudine. Ciò gli vale le simpatie di collaboratori e cittadini e, pur essendo un fascista dichiarato, gli consente di inserirsi in un contesto difficile, martoriato dalla guerra e dall’imbarbarimento di una guerra civile che aumenta ogni giorno la sua crudeltà.
Convinzioni maturate «ora per allora»
Il romanzo è scritto dall’omonimo Luigi Contu, pronipote del protagonista, ed è scritto sulla falsariga di un diario ritrovato con cui il protagonista aveva descritto la fase precedente e susseguente al 25 Aprile.
Su questo canovaccio il pronipote inserisce una trama di fatti, di incontri e di vicende realmente accadute quando, con il crollo del fronte per l’offensiva alleata, la ritirata dei tedeschi ed il crollo della Repubblica Sociale, tutto il mondo che ruota intorno a Luigi viene a cadere. Sui fatti realmente accaduti e sulle impressioni e il lento esame di coscienza del protagonista si aggiungono e sovrappongono quelle del pronipote, nostro contemporaneo.
Proprio questo, a nostro avviso, è il limite del romanzo. Emergono più le convinzioni radicate del pronipote che quelle maturate dal protagonista. I giudizi radicalmente negativi e i ragionamenti che gli sono attribuiti sembrano già allora troppo consolidati, troppo assoluti, nonostante una situazione di vita tumultuosa come quella descritta, fatta di fughe, timori e attese. Proprio per questo sembrano riflettere più le opinioni dell’autore (ora) che quelle del protagonista (allora) che visse in prima persona i fatti del Ventennio e che inevitabilmente avrebbero avuto una gestazione più ponderata e meglio ragionata.
Il libro racconta un contesto di guerra civile. Tra lutti, violenze e bombardamenti, si assiste a un degrado dei rapporti umani, con le rappresaglie che seguono agli attentati ed alle azioni di guerra in un gioco crudele di azioni e reazioni.
Il tono del libro, tuttavia, è apparentemente soft, con i fatti storici sullo sfondo delle vicende personali del protagonista, in crisi ideale e affettiva perché separato dalla famiglia e dalla donna amata, con pochi contatti epistolari e incontri sporadici.
Un processo al ruolo ed all’idea
La vicenda culmina con il processo subito dal protagonista dopo il 25 aprile 1945, quando deve rispondere davanti a un tribunale d’emergenza della sua esperienza come funzionario ministeriale nella Repubblica di Salò.
Luigi è convinto che la sua cifra personale, l’aver sempre lavorato al servizio della comunità, lo avrebbe preservato da qualunque logica di vendetta ma subisce un processo in cui il principale capo di accusa è rappresentato sic et simpliciter dal suo essere un fascista, addirittura con un brevissimo e colpevole trascorso da sottosegretario nominato nell’ultimo rimpasto di governo voluto da Mussolini precedente il 25 luglio del 1943.
Nella folle logica della vendetta tout court l’unica accusa, l’unica colpa che gli può essere addebitata è il suo essere stato fascista, «collaboratore» di Mussolini e, quindi, passibile di pena capitale. Una responsabilità puramente morale, al di fuori di qualunque reato o crimine commesso, che autorizza l’omicidio.
Un sillogismo che nella guerra civile italiana sembrava aver messo solide radici se solo ricordiamo come l’esecuzione nel 1944 di Giovanni Gentile — uno dei più grandi filosofi del Novecento — fosse maturata sulla falsariga di un ragionamento non troppo diverso da quello degli zelanti accusatori di Luigi.
Le qualità riconosciute di Luigi Contu
Il finale del romanzo vede il protagonista salvato da uomini e donne, partigiani, che hanno avuto modo di conoscere e apprezzare le sue qualità personali. Lo aiutano a fuggire, permettendogli di superare il periodo critico delle vendette e dello spargimento di sangue successivo al 25 aprile per poi tornare a Roma a ricongiungersi con la sua famiglia.
Un romanzo probabilmente molto ambizioso rispetto al risultato, nel suo voler ricostruire la crisi di un fascista convinto della prima ora, il divenire del suo esame di coscienza, maturato tuttavia attraverso riflessioni ed argomenti che sembrano molto moderni e sulla base di elementi difficilmente, forse, conosciuti dal protagonista in quel momento storico.
Come si poteva allora pensare, sulla base di una ricostruzione della vicenda emersa solo nel dopoguerra e ancora oggi oggetto di discussione, che dopo il delitto Matteotti del 1924 tutta l’evoluzione del fascismo fosse già largamente definita e quindi comprensibile nei suoi esiti, quando in realtà è negli anni successivi che matura il pieno consenso della società italiana al fascismo?
È difficile ipotizzare, indipendentemente dal ricordo e dal sacrificio di Matteotti, che un fascista possa aver sviluppato un giudizio così critico nei confronti del fascismo solo basandosi su questo dato o su pochi altri, considerato che molti fascisti iniziarono ad allontanarsi da Mussolini principalmente a causa dello sviluppo disastroso della guerra dichiarata nel 1940.
Un libro che si legge con il retrogusto di conoscere già in qualche modo gli spunti di riflessione del protagonista che però sembrano appartenere più allo scrittore contemporaneo.
Legittimi, s’intende, anche storicamente inappuntabili, ma molto moderni, che riflettono il giudizio storico, o meglio, la vulgata ormai sedimentata sul fascismo dopo ottant’anni dalla sua fine.
Il dialogo con i giovani della «Tagliamento»
Un libro tuttavia da leggere, efficace nel descrivere il clima di una guerra civile con la compresenza di opposti: buona e mala fede, violenti per natura e violenti per reazione, pavidi e opportunisti e, in eguale misura, coraggiosi e vigliacchi.
Come anche, però, zeppo di idealismo e voglia, comunque, di testimoniare la propria fede, di non nascondersi e di fare la propria parte nella tragedia che si viveva.
Molto suggestiva, ad esempio, la narrazione del dialogo che il protagonista intrattiene con un gruppo di giovani ufficiali fascisti della Legione Tagliamento, coscienti della fine imminente del loro mondo e delle loro speranze, ma che decidono deliberatamente di andare fino in fondo perché morire poteva anche essere normale, ma si doveva farlo come volevano loro, per il rispetto che si doveva a sé stessi.
Come del resto è altrettanto suggestiva e moralmente forte la descrizione di alcuni partigiani che passano da un perentorio ed inappellabile giudizio di condanna e volontà di vendetta nei confronti del nostro protagonista, ad una ponderazione della responsabilità basata sulla conoscenza della persona e del suo agire.
Come dire che la violenza e l’istinto di vendetta alla fine possono cedere il passo, anche in un clima tossico, alla comprensione delle ragioni umane.
E questo ci sembra un lascito molto, ma davvero molto, importante del libro.
Adriano Minardi Ruspi
Luigi Contu
Domani sarà tardi
Solferino, pp.240