Aspettavamo con ansia la chance olimpica del lottatore italo cubano Frank Chamizo. Non è andata bene. In altri tempi si sarebbe detto: «mancò la fortuna non il valore», più prosaicamente l’atleta ha detto «niente baguette, d’altronde era difficile qualificarsi due volte».
La promessa della federazione di lotta di compensare la ruberia in Azerbaijan (sospesi gli arbitri del suo incontro contro il lottatore di casa), con annesso tentativo di corruzione rivelato dall’azzurro, è durato il tempo dell’indignazione social, ossia era meramente virtuale.
Il torneo di Istambul
Nel torneo di Istambul non solo il campione italiano ha dovuto fare tutto il tabellone, ma al primo turno ha affrontato la testa di serie n.1, il giovanissimo cinese Feng Lu di appena vent’anni.
Un match che si può vedere qui ma non alle Olimpiadi di Parigi 2024, e che più spettacolare non si può.
Il nostro finisce sotto 6 a 1 al primo tempo, cerca disperatamente di penetrare le difese avversarie per tutto il secondo tempo azzardando una presa pericolosa che infatti viene ribaltata portando a 8 più vantaggio il punteggio per il giovane cinese.
A trenta secondi riesce a colmare il divario, ma non basterebbe. Lo sforzo continuo, i cambi di fronte vengono infine premiati portando in vantaggio Chamizo a due secondi dalla fine.
Passa quindi un turno tostissimo, ma le energie spese sono veramente abbondanti.
Al secondo si impone con più facilità mentre ai quarti pareggia con il lottatore neo albanese (in realtà russo) che, non superando il turno successivo per un verdetto ribaltato dalla giuria, ha precluso al nostro lottatore anche il ripescaggio. Niente spettacolo italiano alle olimpiadi, ci consoleremo rivedendo le imprese del nostro.
Questo weekend però è stato un appuntamento da segnare anche per gli appassionati di pugilato, alle 6 di mattina ore italiane, in Australia, si è visto un altro capitolo della leggenda ucraina, Vassily Lomachenko.
Lomachenko e l’essenza del pugilato
Non si vedeva calcare il ring al campione dall’anno scorso dopo la discutibilissima sconfitta con Haney, contestata persino dal pugile Teofilo Lopez, uno che ha saputo battere Lomachenko in maniera più chiara, per poi essere a sua volta battuto a sorpresa dall’ultimo avversario di «Loma», appunto l’australiano di origini greche Kambosos.
La storia di Lopez si conclude recentemente e in maniera piuttosto misteriosa con un ritiro prematuro a 25 anni dal professionismo, ma questa è un’altra storia.
Dicevamo del match Lomachenko «Loma» vs Kambosos in Australia. C’è da premettere che la categoria di peso (pesi leggeri, 61 kg) è per intenditori: difficili i ko devastanti dei pesi massimi, si prediligono scambi veloci, cambi di passo e traiettorie laterali, con colpi che grazie all’esplosività delle gambe partono e si ritirano come un fioretto della scherma.
Lomachenko, però, grazie ad un caricamento cinetico praticamente perfetto, riesce a dare ai colpi quell’efficacia che è necessaria nel circuito professionistico per imporsi. In questa prospettiva, infatti, il limite, per chi viene dai successi olimpici, è ritenuto possedere una tecnica bella, pulita, ma puramente estetica.
Intendiamoci, sarebbe questa l’essenza del pugilato, azione di intelligenza, guerra ritualizzata, più che sfoggio di mera brutalità animalesca, in cui il successo si misura dal danno all’avversario. La logica da spettacolo, tuttavia, ha sempre privilegiato l’esaltazione dello scontro gladiatorio, la pura potenza.
L’epilogo del match all’11 round
Ecco Lomachenko vs Kambosos ha accontentato tutti gli appassionati. In tutti i round si sono scambiati una quantità di colpi impressionanti, ma è la percentuale di quelli messi a segno a essere incredibile.
Compubox, una fonte indipendente che analizza gli scambi di pugilato, ha contato nel quarto round 21 colpi a segno, su 46 lanciati, di cui dai 12 ai 19 di potenza, rispetto ad uno solo a segno su 30 lanciati da Kambosos.
Il netto scarto a favore di Loma significa che questo si è avvicinato all’ avversario rischiando di essere a sua volta bersaglio riuscendo al contempo a piazzare i suoi colpi e a schivare quelli avversari (colpi velocissimi e pericolosissimo, di un grande campione).
L’epilogo all’11 round, dimostra poi l’efficacia dei colpi di Loma che toglie letteralmente il fiato all’avversario. Una soluzione difficile da vedere nel pugilato moderno, ma non inedita per Loma, e che segna il nuovo ritorno da campione del pugile ucraino, un pugile dotato di precisione e di duttilità, confermando le diverse soluzioni che può mettere a frutto.
L’esaltazione agonistica è stata tale che Kambosos, ancora estasiato dalla performance sportiva a cui ha dato vita, a fine gara, ha detto chiaramente di non essere dispiaciuto di aver perso contro una leggenda, avendo dato tutto sé stesso.
Che le strade del pugilato spesso incontrino il misticismo — d’altronde l’ascetismo è un combattimento spirituale — lo dimostrano anche le parole di Loma a fine incontro. Indossando i suoi calzoncini con l’icona di Gesù e la scritta Orthodox. Sulla scia di tanti pugili americani che li hanno decorati anche con versetti del Vangelo, ha ringraziato prima di tutto il Signore Gesù, poi suo padre allenatore e poi la sua famiglia dedicando, in questo ordine, la vittoria.
La sua identità religiosa peraltro non è priva di contrasti in patria dove spesso la confessione è considerata una materia politica.
Da una leggenda ucraina ad un’altra
Si prepara poi il countdown dell’epico incontro dei pesi massimi, la categoria considerata regina, tra Alexander Usyk e Tyson Fury. Un combattimento a lungo evocato, poi rimandato per problemi fisici del Gispy king (Fury, di origini gitane e cittadinanza irlandese). La riunificazione di tutti i titoli e le cinture dei pesi massimi, sarà un evento che non si vedeva da tempo, dal 1999. L’appuntamento è per il prossimo week end.
Anche se certamente è un incontro al vertice, e che passerà alla storia, è l’immensa produzione quasi cinematografica di contorno a farla da padrone. Gli spot del match evocano tutto l’immaginario epico guerriero e western capace di esaltare lo scontro.
Tanto è celebrata questa dimensione che può sembrare uno sport diverso dal pugilato dei pesi leggeri.
In realtà, anche se integrato nello stile caricaturale occidentale, Usyk esprime un pugilato solido e ben costruito, stessa scuola ucraina di Loma, senza sbavature, accorto e veloce, intelligente e potente. In più con quel carattere un po’ pazzerello e imprevedibile che serve per disorientare l’avversario.
Tuttavia, anche Fury non è certamente un fenomeno da baraccone. Stiamo parlando di atleti che hanno il pugilato nel sangue, nella cultura gitana forse è diluito insieme al latte nel biberon. Se Fury si è dedicato alla preparazione atletica con meticolosità e senza sufficienza, come sembra, vedremo un incontro come pochi. Poi c’è il personaggio Fury, immensamente eclettico, che non può non risultare simpatico, anche se, poi, da temere è sempre quello più calmo nella stanza, che ti logora con la sua impassibilità.
La tensione, per esempio, è montata in conferenza stampa, dove dalle schermaglie verbali (classiche, quello che in gergo si chiama dissing), si è passati all’aggressione fisica del padre di Fury che ha rifilato una testata ad un membro dello staff di Usyk riportando una ferita nel cranio per poi urlare, con il sangue che gli colava dalla fronte: «viviamo per sangue e fegato, non possiamo essere battuti. Siamo spartani» (così i giornali italiani, in realtà «i live for blood, guts and horror» ossia, vivo per il sangue, il coraggio e l’orrore), con gli occhi fuori dalle orbite di fronte al coro Usyk-Usyk. Un po’ la summa dell’approccio gladiatorio di cui si parlava.
Non si può far altro che valutare queste schermaglie, come farebbe un lettore di Sun Tzu: «I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere».
Armando Mantuano