La storia di Corradino di Svevia, ultimo difensore dell’idea sovranazionale del Sacro Romano Impero, è l’argomento del nuovo libro dello scrittore Diego Cugia, Il principe azzurro, edito da Giunti.
Come si legge nella dedica a Corradino che apre il libro, più che un romanzo storico Il principe azzurro vuol essere «un film di carta» nel quale l’autore si sente libero di «rielaborare i fatti accaduti, senza mai tradire il senso profondo della sua vita».
Un atto di amore e una promessa fatta a se stesso già sui banchi di scuola, di fronte al disinteresse del maestro verso quel ragazzo che voleva rivendicare il destino «imperiale» della sua casata.
Gli Hohenstaufen si consideravano eredi degli imperatori romani e continuatori del Sacro Romano Impero risuscitato da Carlo Magno, la cui origine sovrannaturale si faceva discendere direttamente da Dio.
Non soltanto una creazione politica dunque, ma un «centro» sovranazionale che chiedeva alle genti e ai principi d’Europa un riconoscimento di origine sovrannaturale, tanto quanto quello che la Chiesa pretendeva per sé stessa.
La lotta fra i due soli
Il contrasto latente tra fra le due potenze universali «i due soli», la Chiesa e l’Impero, non poteva che deflagrare e lo fece con Federico I (1122-1190), che pure era stato incoronato imperatore da papa Adriano IV nel 1155.
L’imperatore dalla barba rossa rafforzò l’autorità imperiale in Germania e in Italia, dove si scontrò con quei Comuni che sostenuti dal papato non riconoscevano la supremazia imperiale. Alcuni di essi riuniti nella Lega Lombarda riportarono nel 1176 un significativo successo militare nella battaglia di Legnano. Nonostante la scomunica papale Federico I si impegnò nella Terza Crociata. Morì annegato cadendo in un fiume in Anatolia.
L’ideale imperiale incarnato, il suo valore e il suo carisma ne fecero già in vita una legenda che si consolidò dopo la morte con la credenza che egli dorma nel cuore del monte Kyffhäuser per risvegliarsi alla fine dei tempi per combattere la battaglia decisiva per la rinascita dell’Europa.
Gli succedette il figlio Enrico VI (1165-1197) che sposando Costanza d’Altavilla, regina normanna di Sicilia, estese l’Impero al Mezzogiorno d’Italia. Enrico morì prematuramente dopo solo sei anni di regno, lasciando alle cure della madre il futuro imperatore Federico II (1194-1250), il bambino destinato a «stupire il mondo».
Poeta, scienziato, legislatore, stratega, re dei romani e re di Sicilia, Federico II cinse la corona imperiale nel 1220. Governando da Palermo riorganizzò l’Impero, intrattenne fecondi rapporti con il vicino Oriente, riuscendo a farsi «restituire» Gerusalemme. Se per alcuni aspetti appare un sovrano molto in anticipo per i suoi tempi, per altri incarnò appieno la concezione sacrale dell’Impero, attirandosi l’odio implacabile del papato e due scomuniche da parte di Gregorio IX.
Il suo regno fu il punto più alto del Sacro Romano Impero, che tuttavia alla sua morte imboccò una rapida parabola discendente.
Suo figlio Conrado IV regnò soltanto quattro anni, durante i quali cercò di mantenere il controllo sul Regno di Sicilia ostacolato dal papato e dai comuni guelfi. Morì a soli 26 anni, lasciando un erede legittimo di soli tre anni, Corradino, il protagonista del libro di Diego Cugia.
L’infanzia di Corradino
Nella prima parte de Il principe azzurro troviamo Corradino fanciullo nel castello degli Hohestaufen, alle prese con i rigidi precettori scelti per insegnargli tutte le materie necessarie ad una persona del suo rango e con le cautele impostegli dalla madre Elisabetta di Baviera per scongiurare possibili attentati alla sua vita.
Ma anche libero di esplorare i boschi intorno al monte Staufen in compagnia dell’amico e compagno di avventure Federico d’Austria, sotto la protezione di Yusuf, un arabo-normanno facente parte della guardia saracena di Federico II, di cui era stato maestro d’armi e falconiere. E sopra a volare proprio il falco Vivit. L’uomo, il ragazzo e il volatile rimarranno sempre con il giovane Corradino nella buona e nella cattiva sorte.
Diego Cugia immagina che accanto all’apprendimento dell’uso delle armi Yusuf trasmetta a giovane imperatore anche delle tecniche di meditazione, già in possesso del nonno, che lo fortificano e gli consentono il raggiungimento di stati superiori di coscienza.
La parabola di Manfredi
Intanto mentre il ragazzo cresceva in Germania sotto la tutela della madre, in Italia emergeva la figura di Manfredi (1232-1266), figlio naturale di Federico II. Condottiero valente e abile politico, lo zio di Corradino si fece incoronare in sua vece re di Sicilia nel 1258.
Tra il 1258 e il 1260 la sua potenza si estese in tutta la Penisola ed egli divenne il punto di riferimento dei comuni ghibellini lasciando sperare che il sogno svevo potesse rinascere. L’odio papale però non si placava e nonostante i suoi tentativi di riconciliazione Manfredi fu scomunicato sia da Innocenzo IV sia dal successore Urbano IV. Quest’ultimo per stroncare la casata sveva si risolse di offrire l’Italia meridionale al fratello del re di Francia, Carlo I d’Angiò, che scese in Italia con il suo esercito.
Nello scontro decisivo che si svolse il 26 febbraio 1266 a Benevento il francese ebbe il sopravvento. Le milizie siciliane e saracene, insieme alle tedesche, difesero strenuamente il loro re, mentre quelle italiane abbandonarono lo svevo, che morì combattendo valorosamente.
Corradino in Italia
La seconda parte del libro di Diego Cugia segue la discesa in Italia di Corradino, deciso a riconquistare il Regno di Sicilia e ristabilire il primato imperiale.
Ricevuta come i suoi avi la scomunica papale, dopo le prime vittorie, il principe svevo arriva in Campidoglio dove è acclamato re dei romani.
Nello scontro decisivo nel pressi di Tagliacozzo, Carlo d’Angiò grazie ad uno stratagemma riesce ad avere la meglio sull’esercito imperiale. Corradino è costretto a fuggire, ma a causa di un tradimento viene catturato a Torre Astura, portato a Napoli e decapitato nella piazza del mercato. Con lui Federico d’Austria, alcuni nobili tedeschi e ghibellini italiani.
Il francese era sembrato sul punto di accettare l’offerta di riscatto avanzata dalla madre del giovane, che lo ha raggiunto in tutta fretta, ma dal palazzo dei Papi era giunto il dispaccio di Clemente IV. Due sole frasi per decidere il destino dei due re: «La morte di Corradino è la vita di Carlo. La vita di Corradino è la morte di Carlo».
Con la scomparsa dell’ultimo degli Hohenstaufen il destino dell’Italia e dell’Europa prendeva un altro corso. Nella sua biografia di Federico II, il grande storico Ernst Kantorowicz scrive: «Se il dominio degli Hohenstaufen fosse durato ancora mezzo secolo, se fosse venuto lo sperato Federico terzo, annunciato dalle Sibille, l’Occidente avrebbe rivisto il ‘divo Augusto’ passar attraverso le porte di Roma e avrebbe bruciato incenso dinanzi alla sua statua sugli altari. Con gli Hohenstaufen apparve per l’ultima volta in Occidente una ‘stirpe divina’».
Vincenzo Fratta
Diego Cugia
Il principe azzurro
Giunti, pp.235