Dei 27 che compongono l’Unione Europea sono 11 i paesi che soltanto nei primi anni Novanta hanno riacquistato la libertà liberandosi dal tallone sovietico che gravava sulle loro spalle dalla fine del Secondo conflitto mondiale. Alla scoperta di questa «altra» Europa ci conduce Beda Romano, con il suo libro Dal Baltico al Mar Nero, edito da Il Mulino.
Giornalista e scrittore, corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore e in precedenza da Berlino, insegnante all’Università Bocconi e all’Accademia diplomatica europea di Bruges, Beda Romano è un viaggiatore d’eccezione. In quanto figlio di Sergio Romano — diplomatico, valente politologo e apprezzato articolista del Corriere della Sera — Beda deve aver respirato un’atmosfera europea fin dall’infanzia.
Dal Baltico al Mar Nero non vuol essere un saggio politico né una guida turistica ma un pregevolissimo insieme di impressioni e ricordi di viaggio, aneddoti e letture, visite e incontri che, scrive l’autore in premessa, hanno «l’intento di offrire nuove prospettive, chiavi di lettura e forse anche smentire qualche pregiudizio».
Priorità diverse rispetto al resto della Ue
Se è vero che i paesi dell’Est ci appaiano spesso lontani e loro priorità diverse rispetto a quelle degli altri membri dell’Unione Europea, essi non costituiscono certamente un blocco omogeneo. Ci sono peculiarità legate alla storia di ognuna di queste nazioni e ci sono gli imperativi legati alla loro collocazione geografica, ovvero alla percezione del pericolo proveniente dalla Russia di Putin.
Una preoccupazione che è massima nei paesi Baltici — Lituania, Lettonia ed Estonia — e in Polonia.
Seguendo Beda Romano nel suo viaggio incontriamo per prima la Svolvenia, una nazione che si considera pienamente integrata nell’Unione Europea, e la Croazia che risente ancora del conflitto irrisolto con Bosnia e Serbia esploso al momento della dissoluzione della Jugoslavia.
Interessanti e di grande attualità le considerazioni che riguardano l’Ungheria. «Il paese — scrive Beda Romano — vive nella permanente angoscia dell’occupazione, o meglio della sparizione. Cinque secoli di dominazione turca, austriaca, sovietica hanno lasciato il segno» e la portano a guardare con diffidenza la stessa Ue.
«Tutto ciò che standardizza — spiega lo scrittore ungherese János Lackfi — induce subito al sospetto. È un riflesso epidermico. Non appena sente parlare di un’autorità esterna, l’ungherese si appallottola come un riccio».
La «Rivoluzione di velluto» di Cechi e Slovacchi
La Repubblica Ceca e la Slovacchia situate nel centro dell’Europa sono frutto della separazione consensuale delle regioni della ex Cecoslovacchia. La Boemia e la Slesia con Praga come capitale da un lato e la Moravia con capitale Bratislava dall’altro.
Alla dissoluzione dell’Unione sovietica la Cecoslovacchia nel 1993 fece una doppia rivoluzione. Abolì il regime comunista e operò un’indolore separazione delle due anime del paese.
Repubblica Ceca e Slovacchia si considerano entrambe parte integrante della Mitteleuropa, più affine alla Germania la prima, più vicina all’Austria la seconda.
La Romania e la Bulgaria sono tra i più poveri del continente, tanto da essere entrati nella Ue soltanto nel 2017 con tre anni di ritardo rispetto al più intraprendenti paesi dell’Est.
L’ombra del «mondo russo»
Tornando alla Polonia abbiamo detto che insieme ai Baltici è la nazione che principalmente teme l’espansionismo di Mosca. E lo fa da sempre, ancor prima che la Russia il 22 febbraio 2022 gettasse la maschera con l’invasione dell’Ucraina.
Allo stato delle cose anche per la Polonia il sostegno degli Stati Uniti e l’ombrello della Nato rivestono maggiore importanza rispetto all’appartenenza all’Unione Europea.
In conseguenza di ciò le vicissitudini della politica interna di Varsavia sono interpretati da Beda Romano come un contrasto tra coloro che considerano il futuro del paese come «intimamente legato al destino dei suoi vicini e al futuro del continente europeo» e chi invece, temendo per la sopravvivenza della nazione, resta sospettoso nei confronti del progetto europeo, «al grido poco convincente di ‘Ieri Mosca. Oggi Bruxelles’».
Vincenzo Fratta
Beda Romano
Dal Baltico al Mar Nero
Il Mulino, pp. 264