Anna Magnani è una delle poche personalità italiane ad avere una stella nella celebre Hollywood Walk of Fame, nel 1956 vince il premio Oscar come miglior attrice per il film La rosa tatuata di Daniel Mann.
L’attrice romana è stata una delle personalità più importanti e al contempo sfaccettate del nostro cinema. Renderne un ritratto che sia quanto più esaustivo è senz’ altro complesso, ambivalente, perché è divisa tra l’essere diva e l’essere donna.
In Anna Magnani convivono tutte le sfumature e le contraddizioni d’un Italia post-bellica e piccolo borghese che si stava muovendo verso gli anni del miracolo economico.
Anna Magnani nacque a Roma il 7 marzo 1908, da mamma romagnola e papà calabrese (che quest’ultimo non conobbe mai), era molto affezionata alla nonna che le assicurò un’istruzione presso un collegio di suore.
Nel 1927 decise di iscriversi all’Accademia di Arte Drammatica guidata da Silvio d’Amico quest’ultimo capì subito il talento della giovane interprete, e disse: «la Scuola non può insegnarle molto di più di quello che ha già dentro di sé… perché lei aveva già quel carisma che l’avrebbe resa indimenticabile. Non recitava, viveva le parti che le venivano assegnate. È già era un’attrice».
Dopo l’esperienza nel teatro di prosa con una piccola compagnia si avvicinò alla rivista, un genere che richiedeva di saper cantare, ballare, di improvvisare e di saper rapportarsi con il pubblico. Claudio Meldolesi scrisse che la rivista era «il suo momento antiaccademico».
L’esordio con «Scampolo» e la rivista
Nel 1928 Anna Magnani apparve per la prima volta sul grande schermo in un piccolo ruolo nel film Scampolo diretto da Augusto Genina, successivamente nella pellicola La cieca di Sorrento (1934) di Nunzio Malasomma.
Anna Magnani era una donna dal carattere molto forte, di una bellezza inusuale, e chi la conosceva diceva che era ipocondriaca e superstiziosa. Sposò nel 1933 Goffredo Alessandrini, regista italiano, da cui si separò nel 1940 per poi non sposarsi più. In un’intervista la Magnani disse: «Mi mise più corna che un canestro di lumache, ma l’ho sempre stimato come regista!».
Nel 1938 Anton Giulio Bragaglia la diresse ne La foresta pietrificata e nel 1939 in Anna Christie. Il primo ruolo di rilievo nel mondo cinematografico fu quello della cantante di varietà in Teresa venerdì (1941) di Vittorio De Sica. Visconti la vorrà poi in Ossessione come protagonista femminile, ruolo che Magnani sarà costretta a rifiutare a causa della gravidanza del suo unico figlio Luca, che crescerà da sola senza il suo ex compagno Massimo Serato.
Dal 1941 al 1944 lavorò assiduamente in varie riviste come Quando meno te l’aspetti, L’Orlando curioso o Volumineide, riuscì persino a sostenere un attore come Totò, che la definì una donna «di cappa e di spada».
Scrisse di lei Meris Nicoletti: «il corpo comico di Anna Magnani non è l’espediente per provocare la risata ma è un corpo che attraverso la parodia o l’atteggiamento caricaturale, desacralizza o nega un certo tipo di fisicità erotica (la vamp su tutte) proponendone un’altra altrettanto sensuale ed eccedente, ma alternativa».
Questa modalità nuova di usare il corpo non rientra nei canoni stabiliti del cinema di regime che vuole la figura femminile ingessata negli abiti stabiliti dalla moda fascista, bensì rappresenta una nuova idea di femminilità e di attrice.
Il successo con «Roma città aperta»
Nel 1945 tutto cambia grazie a Roma città aperta di Roberto Rossellini, dove interpreta Pina, una vedova incinta in procinto di sposarsi con Francesco, un tipografo antifascista.
Le sue braccia aperte e l’urlo che è rimasto impresso nella nostra memoria l’hanno resa grande e da quel momento nacque «La Magnani».
Durante le riprese del film nacque un rapporto di stima reciproca, feeling e amore tra la grande interprete e il sommo maestro Rossellini. La loro storia d’amore volgerà al termine ma il loro consolidato affetto resterà per sempre.
Il Neorealismo è stato un movimento che ha cambiato le sorti del cinema, presentando al mondo un nuovo modo di fare film e del fare l’attore.
Mentre la guerra volgeva al termine non c’erano molti fondi e gli studi erano stati distrutti, la strada fu dunque la grande risorsa dei registi neorealisti e ancora di più l’attore non professionista, di strada appunto, fu la miccia che accese questo irripetibile momento cinematografico.
Il codice filmico Hollywoodiano viene irrimediabilmente capovolto e per la prima volta i visi smunti e le parabole di uomini qualsiasi hanno una risonanza mondiale, tale da modificare anche la nostra percezione del divo.
Con l’arrivo di attori non professionisti sul grande schermo il pubblico ha iniziato a sentirsi sempre più vicino alle storie raccontate da quei visi e dalla polvere di quelle città, riuscendo quasi nell’intento di smitizzare l’attore/divo fino a renderlo persona comune, come loro, privandolo della sua funzione sociale e rendendo così l’idea del divo un’idea passata.
L’adesione autobiografica dell’attore ai personaggi interpretati nasce proprio grazie al Neorealismo italiano e al suo impegno nel correlare costantemente l’esperienza reale dell’interprete al suo ruolo fittizio, essi vivevano quella storia come se fosse la loro, perché lo era.
Per Roberto Rossellini, per esempio, il corpo era legato alla psicologia e la verità scaturita dal non-attore è per i registi neorealisti più veritiera di molti momenti costruiti dall’attore professionista.
«L’onorevole Angelina» e «L’amore»
Nel 1946 la Magnani vince il suo primo Nastro d’Argento per Roma città aperta e il secondo nel 1948 per L’onorevole Angelina (di Luigi Zampa) mentre il terzo di nuovo con Rossellini ne L’amore nel1949.
Il periodo che succede questi trionfi è un periodo proficuo per Magnani: nel 1951 viene scelta per il film di Luchino Visconti Bellissima, per interpretare uno dei ruoli più iconici della sua carriera, ovvero la madre apprensiva e decisa a rendere sua figlia una attrice.
Nel 1952 interpreta Anita Garibaldi per la regia del suo ex marito Goffredo Alessandrini, e nel 1952 viene scritturata da Jean Renoir per il film La carrozza d’oro.
In questi anni accade qualcosa che cambierà la traiettoria della sua carriera. L’America scopre Anna Magnani. Già per Roma città aperta la sua interpretazione non era passata inosservata alla critica d’oltre oceano, definendola «donna e mito, tigre e attrice», ma è nel 1950 che l’America è ai piedi dell’attrice.
Anna Magnani conosce a Parigi Tennessee Williams, drammaturgo statunitense che scrive per lei e solo per lei un ruolo per Broadway, quello di Serafina della rosa ne La rosa tatuata.
L’attrice non accetta di recitare a teatro poiché sente di non avere le abilità necessarie per interpretare Serafina in lingua inglese. Accetta però di lavorare sul film, così nel 1954 vola in Florida per girare su un set Hollywoodiano a fianco del divo americano Burt Lancaster. Il personaggio di Serafina Delle Rose, vedova devotissima del marito Rosario.
L’Oscar con «La rosa tatuata»
Gli Stati Uniti fanno di Anna Magnani una star e per lei si apre così una nuova possibilità artistica e lavorativa in una terra che l’aveva da subito consacrata tra i grandi attori e che nel 1956 la onora del premio Oscar come miglior attrice protagonista proprio per La rosa tatuata.
Da quel momento, grazie alla notorietà acquisita, tornerà a lavorare in America, per George Cukor in Selvaggio è il vento e in Pelle di serpente di Sidney Lumet con Marlon Brando. Magnani diventa leggenda, tanto che Marilyn Monroe la definirà «Divina».
Reduce dall’America, nel 1960 Magnani approda sul set di Mamma Roma, secondo lungometraggio di Pier Paolo Pasolini. Il regista era così affascinato dall’attrice da ritenerla una figura centrale della resistenza antifascista.
L’adesione di Magnani ai suoi personaggi poteva dare infatti l’idea che l’attrice non interpretasse ma vivesse la parte sulla sua pelle. La tecnica estremamente trasparente creava l’illusione che ha portato alla intima complicità tra l’attrice ed il suo pubblico.
La maternità viscerale di Anna Magnani
Anna Magnani non è una diva qualsiasi e la parola «diva» non si addice totalmente alla sua figura che già a quei tempi era circondata da un alone di classicità quasi mitologica. Un’attrice che ha dominato le scene per quarant’anni e che ancora oggi non smette di incuriosirci per la sua professionalità.
Nel 1959 fu diretta da Castellani nel film Nella città, l’inferno, dove la vediamo al fianco di Giulietta Masina in un carcere femminile; nelle foto di scena le due sono agli antipodi.
Egle (Magnani) è la «padrona» del carcere, è dispotica, spavalda, spalle dritte e petto all’infuori, mentre Lina (Masina) è timida e innocente, dall’aspetto fragile e incapace di difendersi. Egle è colei che porta sulla cattiva strada Lina.
Il film racconta la vicenda delle detenute di via delle Mantellate (che riprende il romanzo Roma, via delle mantellate di Isa Mari del 1953) e, per questo motivo, sotto richiesta del regista e della sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico, doveva essere interpretato da vere carcerate. Solo per i personaggi di Lina e di Egle la scelta è ricaduta su attrici professioniste.
Il personaggio di Magnani è stato scritto su misura per lei dalla sceneggiatrice e amica Suso Cecchi d’Amico, è un ruolo di forte personalità che unisce la gestualità e il temperamento dell’attrice.
Il 26 settembre 1973 Anna Magnani morì all’età di 65 anni, per un tumore al pancreas nella clinica Mater Dei ai Parioli dove era ricoverata. Le sue spoglie riposano nel piccolo cimitero di San Felice Circeo, nei pressi della sua villa che amava tantissimo.
La grande Anna Magnani era vessillo di una maternità viscerale, popolare, apprensiva e simbolica del suo mestiere. A cinquant’anni dalla morte, le sue memorabili interpretazioni sono ancora simbolo di «eterna maestria».
Serena Lamolinara