di Adriano Minardi Ruspi
Siamo nel 1952 e l’Italia si appresta a celebrare il 30º anniversario della Rivoluzione fascista iniziata con la Marcia su Roma dell’ottobre del 1922.
Probabilmente avete pensato di non aver letto bene o di esservi confusi perché nel 1952 il fascismo era morto e sepolto da sette anni, il suo fondatore ucciso e l’Italia era in una fase politica successiva alla fine della Seconda guerra mondiale completamente nuova, con il referendum istituzionale che aveva portato dalla Monarchia alla Repubblica e con la successiva promulgazione della Costituzione repubblicana.
L’Italia reale del 1952 si avviava a costruire nei suoi primi passi ed a consolidare una democrazia parlamentare completamente nuova rispetto allo scenario descritto nel romanzo Il Ducetto di Alessandro de Nicola, edito da Rubbettino.
Un romanzo ucronico
Il libro racconta un’altra Italia, che per volontà di Mussolini (o magari anche solo per paura) non entra nel Secondo conflitto mondiale, mantiene la propria neutralità attiva e durante tutto l’arco del conflitto si barcamena tra Alleati e ex alleati pericolosi come il Reich tedesco, attendendo la fine della guerra in una situazione di completo isolamento e lucrando dal punto di vista economico sulla sua posizione di paese neutrale.
Troppo schierata negli anni precedenti con la Germania nazionalsocialista per poter pretendere rispetto o considerazione da parte degli Alleati vittoriosi e contemporaneamente invisa al resto del mondo perché, comunque, unico esperimento di modello fascista ancora in piedi insieme a Spagna, Argentina e Portogallo.
Un’Italia immaginaria, quindi, quella descritta nel libro che, nello stile del romanzo ucronico, descrive un’altra traiettoria della storia italiana con un regime consolidato nei suoi trent’anni di vita. A guidarlo c’è il Conte Galeazzo Ciano, generosamente definito il «Ducetto» perché succeduto al suocero, fondatore del Fascismo. E tutti i principali gerarchi ancora saldamente al loro posto.
Galeazzo Ciano governa un paese imborghesito e privato di qualsiasi dimensione eroica e guerriera in una prospettiva se non di crescita quantomeno di stabilità economica conseguente agli anni di neutralità in cui l’Italia ha comunque lucrato e tratto vantaggio dalla sua condizione di non belligeranza. Il Paese si muove comunque in uno scenario internazionale che lo vede ancora soggetto a diffidenza, mista a rancore, da parte dei vincitori.
In tale contesto si muovono tante storie parallele di spionaggio e terrorismo politico rappresentate dall’intrecciarsi di diverse congiure tutte in vario modo finalizzate all’eliminazione del «ducetto», con attori principali che spaziano tra cellule comuniste clandestine, alcune delle quali strettamente obbedienti agli ordini di Mosca ed altre invece proiettate su strade autonome. Dalla polizia politica agli ordini del Ministro degli Interni alla versione moderna della vecchia Ovra, che infiltra le cellule comuniste ma che contemporaneamente costruisce un suo percorso politico a salvaguardia di quello che viene definito il «vero fascismo», nella stessa direzione in cui si muove una parte del mondo fascista rappresentata dai «duri e puri», con la presenza come ispiratori e protagonisti di personaggi come Julius Evola e come il principe Borghese.
La forza di questo romanzo è il saper intrecciare tante storie diverse, ognuna con un percorso ben definito, ad un filone principale cui fa da sfondo l’evoluzione della società italiana.
Cosa succede ne «Il Ducetto»
La trama principale è avviata da uno studio legale milanese che assume la difesa di un giovane ebreo (che si rivelerà poi semplice capro espiatorio della congiura), accusato di antifascismo e di collaborazione con la cellula comunista che avrebbe progettato un attentato al «Ducetto» a Milano proprio nei giorni della celebrazione del 30º anniversario della Rivoluzione.
A questo studio legale si affiancano ovviamente le indagini della polizia politica milanese rappresentata da tipi umani molto ben delineati, sostanzialmente «afascisti» perché finalizzati al solo svolgimento professionale della propria attività d’indagine.
Intorno a loro ruota l’inevitabile contorno di personaggi più ambigui (nel solco della migliore tradizione italica) rappresentati da faccendieri ed ex agenti del servizio segreto germanico, rimasti prudentemente in Italia dopo la sconfitta del Reich tedesco, che collaborano alle indagini in modo autonomo e personale.
Il tutto in un contesto politico generale in movimento con le mosse del Consiglio dei Ministri in cui emerge la volontà di Ciano di procedere ad un graduale processo di normalizzazione e di tendenziale democratizzazione dell’Italia fascista in grado quanto meno di avvicinarla alle democrazie occidentali.
Dall’altro lato con le manovre del mondo comunista in cui si muove Palmiro Togliatti ancora in esilio e che comunque da Parigi continua a tessere le fila delle iniziative del partito comunista clandestino in Italia pur continuando a svolgere un ruolo importante all’interno dell’internazionale comunista.
L’attentato esterno e la congiura interna
Tante storie verosimili che si intrecciano a comporre un mosaico che porta ad una conclusione tragica perché l’attentato nei confronti di Ciano viene infine eseguito a Roma e la morte del Presidente del Consiglio non consente di portare a compimento il tentativo riformatore del fascismo anche per l’eliminazione di tutti quelli che rappresentavano appunto la componente moderata del fascismo stesso (non solo Ciano ma anche Dino Grandi).
Su questo sfondo si muove anche la congiura all’interno del mondo fascista più oltranzista per frenare quest’ansia riformatrice e normalizzatrice del fascismo che animava la volontà politica di Ciano e che si muove sfruttando l’occasione rappresentata dal complotto comunista nel tentativo di riportare all’ortodossia il fascismo.
In questo ambiente si muovono i personaggi che storicamente rappresentarono l’ala dura del fascismo come, tra gli altri, Alessandro Pavolini e con la presenza di un insolito Giuseppe Bottai destinato a succedere a Ciano nella carica di Primo Ministro.
Un bel romanzo, con una trama coinvolgente, una scrittura veloce capace di intrecciare storie e profili personali, in grado di delineare anche un percorso politico credibile ed è questo l’elemento che, al di là della piacevolezza della storia e del suo essere estremamente intrigante dal punto di vista della lettura, porta ad una domanda ineludibile, almeno per chi ama la storia.
Sarebbe potuto esistere un fascismo diverso?
L’interrogativo suscitato da «Il Ducetto»è quale percorso avrebbe intrapreso l’Italia se il fascismo fosse sopravvissuto alla guerra. O meglio ancora se Mussolini non l’avesse mai dichiarata quel 10 giugno del 1940. Se l’Italia fosse rimasta neutrale come la Svizzera e, nel percorso delineato dal romanzo, Mussolini fosse morto di morte naturale.
Ci sarebbe stato da parte sua o del suo successore un tentativo di progressiva apertura al mondo democratico, in un paese comunque più forte dal punto di vista economico per la sua posizione di neutralità ma comunque fondamentalmente isolato dal contesto internazionale?
Nel contesto post bellico, con la progressiva creazione di strutture sovranazionali — dapprima di carattere economico ma che avrebbero poi portato come realmente accaduto alla costituzione di una comunità economica europea — e con la costruzione di un mercato unico in un mondo occidentale presidiato dall’egemonia americana e anglosassone, contrapposto ed in clima di guerra fredda con il mondo comunista, quanto lo scenario internazionale avrebbe influito sul destino dell’Italia?
Quanto avrebbe potuto far da leva alla graduale fuoriuscita dalla dittatura personale ed alla graduale liberalizzazione del paese evitando la cesura traumatica di una guerra civile e delle macerie che ne sono conseguite?
Oppure le spinte dell’ortodossia avrebbero condotto, come rappresentato nel romanzo, ad un rafforzamento della vocazione totalitaria del fascismo ed alla totale chiusura del paese rispetto al contesto internazionale con ciò inibendo qualunque ipotesi di trasformazione interna?
Le dittature simil fasciste di Spagna e Portogallo sono sopravvissute per un trentennio alla fine della guerra senza significativi cambiamenti o processi interni di liberalizzazione ma si tratta di paesi in una condizione geopolitica meno strategica rispetto all’Italia, rimasta cerniera tra l’Est comunista ed il blocco occidentale ad Ovest e per ciò solo cruciale nel suo posizionamento.
Il Ducetto ha un valore significativo, quindi, proprio ed anche dal punto di vista dell’ipotesi storica perché permette di immaginare, riflettere o forse solo sognare su quello che sarebbe potuto essere un percorso diverso per il Paese e questo francamente rappresenta un valore aggiunto notevole aldilà dello specifico valore narrativo dell’opera.
Il romanzo di Alessandro de Nicola è sicuramente da leggere e da consigliare perché stimola riflessioni aldilà del suo valore puramente estetico, senza la necessità di urlare anatemi perché la fantasia non può certo essere scomunicata.
Adriano Minardi Ruspi
Alessandro de Nicola
Il Ducetto
Rubbettino, pp.250