VITA E LAVORO

L’irresistibile fascino
della settimana corta

Una recente indagine sancisce che otto italiani su dieci si auspicano che anche nel nostro paese venga introdotta la settimana lavorativa corta.

 

Il mondo del lavoro continua a cambiare rapidamente e a massima velocità soprattutto dopo il Covid, con l’affermazione dello smart working e la potenziale introduzione della settimana lavorativa corta.

Una nuova indagine realizzata per Pulsee luce & gas, brand digitale di Axpo Italia, dalla società NielsenIQ, ha portato in luce i punti di vista su questo importante aspetto di un campione rappresentativo della popolazione italiana.

La settimana lavorativa corta permette di conciliare meglio lavoro e vita privataEsperimento dopo esperimento, la «Four Days Week» sta diventando realtà in alcuni settori di diversi paesi europei e non.

Ha iniziato l’Islanda, una delle prime tra il 2015 e il 2019 a testare la settimana di quattro giorni per 35-36 ore di lavoro: i risultati sono stati buoni, con le imprese che hanno registrato una maggior produttività e l’86% dei dipendenti che ha scelto i quattro giorni all’insegna del «meno stress».

In Nuova Zelanda le sperimentazioni sono iniziate nel 2018, introdotte da società come Unilever e poi rilanciate dal Governo.

L’impatto della settimana corta

L’indagine offre spunti di riflessione sull’impatto sociale della settimana lavorativa corta (quattro giorni a settimana) voluta dall’80% degli intervistati.

Circa la metà del campione (48%) dichiara di avere figli. Nella maggior parte dei casi (66%) sono gestiti in autonomia o con l’aiuto dei nonni (24%), solo l’11% si affida a figure esterne come baby-sitter o altre figure professionali, con una spesa media mensile di 115€. Tre intervistati su quattro ritengono che la settimana lavorativa corta possa generare benefici, dando la possibilità di gestire con maggiore autonomia i propri figli.

Tra le iniziative di welfare aziendale evidenziate dai lavoratori, le più comuni sono benefit di tipo economico, come l’assegno familiare (40% del campione), o di tempo retribuito, sotto forma di giorni di paternità e di permessi (34%).

Per quanto riguarda invece la cura di familiari anziani o con disabilità, il 35% degli italiani afferma di occuparsene da solo, contro il 65% che ricorre a un aiuto esterno. In particolare, chi riceve supporto conta su altri familiari (42%), mentre il 34% si rivolge a badanti, case di riposo o altre forme di sostegno, con una spesa di circa 540 euro al mese.

Per l’85% degli intervistati «caregiver» la settimana corta offre l’opportunità di curare i propri familiari con maggiore autonomia. Il bonus più offerto dalle aziende in questo ambito è la flessibilità (37%), seguita da ore di permesso (22%) e supporto psicologico (14%).

L’equilibrio tra lavoro e vita privata

Per la cura domestica, solo il 13% del campione afferma di doversi rivolgere a professionisti, spendendo, in media, 107 euro al mese. Anche in questo caso la settimana corta viene percepita come un valido supporto, come dichiara l’80% degli intervistati. Avere un giorno libero in più, inoltre, permetterebbe di dedicare maggiore tempo al benessere personale, soprattutto per svolgere l’attività fisica (62%), ma anche fare gite e viaggi (54%).

Il desiderio di adottare la settimana corta coinvolge 4 intervistati su 5, con il 50% che si definisce «molto interessato». Per ottenere questo beneficio, i compromessi che i lavoratori sono più propensi ad accettare sono una maggiore flessibilità sull’orario di lavoro durante la settimana lavorativa (52%), un aumento della produttività durante i giorni lavorativi (47%) e un minor numero di pause (45%). Soltanto il 10% sarebbe disposto ad una leggera riduzione dello stipendio.

La settimana corta viene vista positivamente come modalità per accrescere l’equilibrio tra lavoro e vita privata (72% del campione), la soddisfazione personale (63%) e il tempo di qualità da dedicare alla famiglia e agli amici. Tra gli aspetti critici sono invece elencati l’aumento del carico di attività durante i giorni lavorativi (51%), la maggior pressione e stress associato al raggiungimento degli obiettivi (37%) e i problemi di coordinamento (27%).

Gli esperimenti all’estero

In Gran Bretagna è stato condotto il test più corposo. Tra giugno e dicembre dell’anno scorso ben 61 imprese con quasi tremila dipendenti hanno sperimentato la «Four Days Week»: aziende di software, di recruitment, industrie, società no profit e di ristorazione.

I risultati sono andati al di là di ogni aspettativa. Delle 61 che avevano iniziato il test, 38 hanno esteso la sperimentazione della settimana corta e 18 hanno deciso di adottarla per sempre. Anche la Spagna ha avviato un test triennale, nell’autunno del 2021, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni la settimana lavorativa.

Anche il Belgio l’anno scorso ha introdotto la settimana corta, ma senza tagliare le ore: l’idea è concentrarle in quattro giorni, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente, con un periodo di prova di sei mesi.

Infine la Svezia, gli Stati Uniti e il Giappone stanno sperimentando l’adozione di questa formula lavorativa. Anche la Germania ha sperimentato la settimana di 4 giorni lavorativi, l’iniziativa ha coinvolto 45 società di tutto il Paese.

Le proposte legislative in Italia

Seguendo la scia degli altri paesi, a cui solo la Grecia sembra al momento opporsi con la settimana lunga, Alleanza Verdi e Sinistra aveva presentato ad aprile 2024 una proposta innovativa, con Nicola Fratoianni come primo firmatario, che prevedeva la riduzione dell’orario settimanale di lavoro a 34 ore senza riduzione della retribuzione.

La proposta includeva l’istituzione di un Fondo di incentivazione per le aziende che riducono l’orario di almeno il 10%. Questa misura mira a promuovere un incremento dell’occupazione in vari settori produttivi, mantenendo invariati i salari.

Giuseppe Conte, primo firmatario per il Movimento 5 Stelle, ha proposto invece una settimana lavorativa di 32 ore. Il M5s suggerisce che sindacati e datori di lavoro possano stipulare contratti specifici per ridurre l’orario mantenendo la stessa retribuzione. Per incentivare le imprese, la proposta includeva un esonero contributivo previdenziale e assicurativo fino a 8mila euro annui per tre anni, preservando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Il Partito Democratico, con Arturo Scotto e Elly Schlein tra i firmatari, aveva proposto la definizione di nuovi modelli organizzativi e produttivi che includessero la riduzione dell’orario lavorativo, anche attraverso la settimana corta di quattro giorni.

Gli incentivi previsti dal testo dem prevedevano un esonero contributivo del 30%, escludendo quelli destinati all’Inail, per i contratti collettivi tra imprese e organizzazioni sindacali rappresentative a livello nazionale. L’esonero sale al 40% per i lavori usuranti e gravosi.

I successi tangibili della settimana corta

I dati dell’Ocse rivelano che, nel 2022, il 7% dei lavoratori nell’Unione Europea ha lavorato più di 49 ore a settimana, con l’Italia che registra una percentuale del 9,4%. In questo contesto, la settimana lavorativa di quattro giorni emerge come una soluzione innovativa per migliorare la soddisfazione dei dipendenti, l’efficienza delle aziende e la competitività.

Nel nostro paese, diverse aziende stanno già sperimentando questa modalità di lavoro. Tra queste figurano Intesa Sanpaolo, Sace, Lamborghini e Luxottica. L’obiettivo è permettere ai dipendenti di lavorare meno giorni senza riduzione salariale.

Di recente, il Parlamento italiano ha anche avviato i lavori su un disegno di legge volto a incentivare la contrattazione collettiva e aziendale per ridurre l’orario lavorativo mantenendo inalterata la retribuzione e la produttività.

Un caso di studio proviene dal Regno Unito, dove l’Università di Cambridge ha analizzato l’impatto della settimana lavorativa corta. L’indagine, condotta su 61 aziende e 2900 lavoratori, ha evidenziato risultati positivi:

  • Circa il 71% dei dipendenti ha riportato una riduzione dello stress da lavoro (burnout).
  • Il 39% ha dichiarato di sentirsi meno stressato rispetto all’inizio dello studio.
  • I giorni di malattia sono diminuiti del 65%.
  • Le dimissioni dei dipendenti sono calate del 57%.
  • I ricavi delle aziende partecipanti sono rimasti stabili, con un aumento medio dell’1,4% per le 23 organizzazioni che hanno fornito dati.

Sebbene la riduzione dell’orario di lavoro possa aumentare l’occupazione, esistono anche alcune problematiche. I lavoratori potrebbero affrontare maggiore ansia e stress dovuti alla necessità di completare le stesse mansioni in meno tempo. Inoltre, mantenere lo stesso stipendio con meno ore lavorative incrementa il costo orario del lavoro.

Questo potrebbe comportare un aumento degli oneri per le imprese, che dovrebbero assumere più dipendenti per compensare le ore ridotte. Tale dinamica è particolarmente costosa per le piccole imprese, che devono affrontare costi fissi legati al reclutamento e alla formazione di nuovi dipendenti.

Solo la Grecia in controtendenza

Mentre in Italia, così come nei Paesi del resto d’Europa, si discute della possibilità di ridurre la settimana di lavoro, passando da 5 a 4 giorni ma mantenendo lo stesso stipendio, la Grecia, in controtendenza, ha deciso in favore di un allungamento.

Nel dettaglio, non si tratta di un obbligo bensì di una forma di incentivo, riconoscendo a partire dal mese di luglio delle forti integrazioni salariali per coloro che prestano attività lavorativa nel fine settimana.

Vi è quindi la possibilità di lavorare per 48 ore straordinario, rivedendo così la normativa sull’orario di lavoro.

In questo modo la Grecia conta di risolvere due grandi problematiche che interessano anche altri Paesi (Italia compresa): da una parte la necessità di garantire un aumento di stipendio ai lavoratori, dall’altra l’aumento della produttività.

Una misura che si colloca nel pieno della rinascita economica della Grecia, passata dalla crisi del debito del 2009 a uno dei Paesi europei più in crescita dell’ultimo periodo.

Maria Facendola

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