È stato uno dei prezzi che si sono dovuti pagare per l’exploit dei Cinquestelle nelle elezioni del 2018: loro l’avevano messo nel programma, facendone una bandiera (assai sbandierata, appunto), e una volta al governo l’hanno imposto come un obiettivo irrinunciabile.
Fuorviante a cominciare dal nome, visto che all’origine si tratta di un concetto del tutto diverso, il Reddito di cittadinanza è l’ennesima misura d’emergenza che agisce sugli effetti senza risalire alle cause. La classica «soluzione» che non risolve un bel niente. Un po’ di soldi distribuiti a largo raggio e via così. Il malcontento sociale è imbrigliato, almeno per un po’. Il vantaggio politico è che probabilmente si otterrà la gratitudine elettorale dei beneficati di turno. Denari pubblici, propaganda di partito.
È la tipica logica dell’assistenzialismo: rabbonire i poveri a suon di sussidi, anziché rimuovere le cause che li hanno portati a versare in quelle condizioni.
Una risposta solo fittizia
L’alibi è la necessità di intervenire su situazioni concrete che esigono delle risposte. Il vizio è che le risposte sono fittizie.
L’aggravante è che, avendo nascosto le ripercussioni gravi e persino drammatiche di un certo stato di cose, le questioni davvero decisive scivolano in una sorta di limbo. Gli indigenti non sprofondano nell’inferno della miseria. Ma si possono scordare qualsiasi ascesa verso un’autentica sicurezza lavorativa, reddituale, sociale.
Una lunga serie di circostanze li ha messi ai margini. Ai margini rimarranno. Perché quelle circostanze non si dissolvono certo da sole. Si aggravano, semmai.
Un’ambiguità dopo l’altra
Nessun dubbio: negli ultimi decenni il mercato del lavoro si è profondamente deteriorato, portando a una divaricazione sempre più netta tra gli interessi delle aziende e quelle dei dipendenti. Una contrapposizione che col tempo è diventata strutturale. E lacerante.
La politica, nel suo insieme, non ha fatto ciò che doveva. Ciò che le spetta per definizione, per la sua natura di guida della comunità nazionale.
Innanzitutto, avrebbe dovuto prevedere determinati sviluppi. Che non sono affatto sorti dall’oggi al domani ma che derivano da scelte precise, a partire dal dilagare della speculazione finanziaria al posto dell’economia produttiva.
La pressione fiscale sulle imprese
Mancando quelle analisi – o, ancora peggio, avendole accantonate per favorire chi avrebbe lucrato sui nuovi assetti, a danno della generalità dei cittadini – si è lasciato che le spinte contrapposte si acuissero. Le imprese, sotto il peso della globalizzazione e di una pressione fiscale esorbitante, tiravano dalla loro parte cercando in tutti i modi di tagliare il costo delle cosiddette «risorse umane». I lavoratori, o aspiranti tali, erano sostanzialmente disarmati e ne subivano le conseguenze.
Sono questioni complesse e nei prossimi giorni ci torneremo a più riprese. Ma il filo conduttore è che i governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi, ivi inclusi quelli «tecnici» alla Mario Monti o «di unità nazionale» alla Draghi, non hanno saputo o voluto affrontarli nel solo modo davvero accettabile: con un’estrema chiarezza nel fissare pubblicamente, ossia davanti all’elettorato, le difficoltà insite nei nuovi scenari e i metodi con cui si intendeva venirne a capo.
Si è preferito destreggiarsi (o piuttosto sinistreggiarsi, visto che Pd e soci sono puntualmente lì a tirare i fili) nel solito modo: fughe in avanti alternate a delle mezze marce indietro. Ed è appunto in questa prospettiva, in questo ignobile intreccio di sottomissione ai diktat sovrannazionali e di accordi pasticciati con gli attori e attorucoli della scena interna, che si colloca anche il Reddito di cittadinanza.
La risposta sbagliata a una situazione altrettanto sbagliata. L’anestetico, colmo di effetti collaterali dannosi, somministrato al paziente che non si è capaci di guarire.
Gerardo Valentini