Negli ultimi dieci anni, oltre 150mila imprese fondate da under 35 hanno chiuso i battenti. Una ritirata lenta ma costante dell’imprenditoria giovanile, diminuita del 24%. Una cifra che, più che una statistica, suona come un grido d’allarme.
Dietro questo arretramento non c’è solo incertezza economica ma anche una cristallizzazione delle generazioni. Eppure, in questo panorama malinconico, qualcosa si muove. Secondo dati del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, le start-up guidate da fondatori under 35 rappresentano oggi oltre il 45% delle nuove registrazioni nel settore tech e green.
Il sostegno statale
La politica ha fatto la sua parte con strumenti concreti come la maxi detrazione fiscale del 65% che premia chi investe in imprese innovative e un programma Smart&Start di Invitalia che eroga fino a 1,5 milioni di euro a tasso zero, con una quota a fondo perduto che nelle regioni del Sud può arrivare al 30%.
E ancora le garanzie statali fino all’80% su prestiti bancari, senza ipoteche né fideiussioni e il «bonus startupper» da 500 euro al mese per 3 anni, pensato per giovani disoccupati che decidono di mettersi in proprio. Un piccolo salvagente per chi salta nel vuoto dell’autoimprenditorialità.
L’innovazione non è solo software. Sempre più giovani scelgono di fondare imprese nel settore sostenibilità ambientale, circular economy, educazione digitale, welfare aziendale e agritech.
Le nuove start-up italiane parlano la lingua sostenibilità, della rigenerazione urbana, del welfare, dell’agricoltura smart. Cresce il numero di progetti fondati da donne, da under 30, da team con background misti.
Il rientro dei giovani imprenditori
In molti stanno dicendo addio all’estero e tornando a investire dove sono cresciuti. Un recente sondaggio mostra un cambio di percezione radicale: oggi, quasi 7 giovani su 10 credono che avviare un’impresa in Italia sia una strada percorribile. Qualche anno fa, sembrava utopia.
Per fare dell’Italia una vera casa per l’imprenditorialità giovanile, tuttavia non bastano i bonus a intermittenza: serve una visione a lungo termine. Meno ostacoli burocratici, fondi più accessibili, formazione che insegni a fare (e non solo a sapere), ma soprattutto un cambio di passo culturale che smetta di trattare il rischio come un azzardo.
I giovani non mancano e le idee nemmeno. E quando trovano terreno fertile, non bussano alla porta del lavoro: lo inventano da zero.
Fallire non è più uno stigma, ma un passo del percorso. Questa nuova generazione di imprenditori non cerca il colpo di fortuna. Cerca spazi, strumenti e ascolto. Chiede meno ostacoli e più alleanze. E lo fa in un contesto finalmente pronto a riconoscere il valore del rischio, dell’errore e della creatività.
Maria Facendola